Benedetta tu fra le donne e il frutto del tuo grembo

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, alcuni farisei In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

( Lc 1,39-45)

Commento a cura di Matteo Vinti

«Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?»: così l’Innominato del Manzoni nel suo dialogo con il cardinal Borromeo. E quante volte ci viene la domanda anche a noi, quando Dio sembra così in silenzio, così nascosto, così lontano, così sulle sue… Come facciamo a vedere Dio, a riconoscere Dio, a presentire la sua presenza?

Un feto, un bambino non ancora nato, un bambino forse al settimo mese: ecco il primo – il primo in assoluto – che ha riconosciuto la presenza di Dio nel mondo, la presenza del Figlio di Dio in un grumo impercettibile di cellule, in un embrione appena annidato nel grembo di una teenager di Nazaret di Galilea. Un feto che riconosce Dio in un embrione, e sussulta di gioia nel grembo della madre…

Esistono animali che fiutano il pericolo ore prima che si verifichi; altri avvertono l’acqua a chilometri di distanza; e a quanto pare ci sono gatti che riconoscono la presenza di un tumore maligno nei corpi dei loro padroni. Ci sono istinti incredibili sulla faccia della terra. L’uomo, di istinti animali, ne ha conservati pochissimi; ma c’è un istinto che è l’unico animale sulla faccia della terra a possedere, ed è l’istinto di Dio.

«Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non trova pace in te», scrive Agostino di Ippona. Il cuore di ogni uomo, feto o centenario, è fatto per Dio, è capace di riconoscere Dio. Se Dio ha la compiacenza di mostrarsi, il nostro cuore ha l’istinto per presentire la sua presenza, per quanto nascosta possa essere. Nascosta come doveva essere nascosto quell’embrione in una ragazzina a poche settimane di gestazione.

Un desiderio connaturale all’uomo, dunque. Ma c’è un ma. Com’è possibile che, se persino un quasi-neonato può riconoscere la presenza di Dio, a noi, a tanti di noi adulti, a tanti dei nostri ragazzi, viene così difficile questo riconoscimento? Ecco, forse a questo proposito il testo lucano può offrirci due spunti di riflessione.

Il primo: non è la vecchia Elisabetta a riconoscere il Signore, bensì il bambino. La vecchia Elisabetta lo riconosce riflessivamente, il bimbo Giovanni istintivamente; l’adulta Elisabetta riflette sugli effetti che vede (la gioia del bambino nel suo grembo), Giovanni no, non riflette. Perché? Perché è semplice come, appunto, un bambino. Non ha il peso dei nostri ma, dei nostri se, dei nostri però, dei nostri schemi, delle nostre delusioni, delle nostre disillusioni, dei nostri “eh, quando conoscerai anche tu la vita…”: semplicemente gioisce quando sente una presenza carica di significato. L’adulto no; ma un adulto onesto può riconoscere questo segno, la gioia di chi il significato della vita lo vive. La gioia è il segno supremo della presenza di Cristo.

Il secondo: il saluto di Maria. Per certi versi, la scena della visitazione è molto simile al modo in cui noi incontriamo Cristo oggi. Noi non incontriamo, diciamo, il Gesù adulto in carne e ossa e voce che incontravano i discepoli nella sua vita pubblica; noi incontriamo invece testimoni che portano Cristo. Come Maria. E la presenza di Cristo in loro si nota in tutta la loro persona. Non necessariamente in qualcosa di particolare che dicono.

Non necessariamente in qualcosa di particolare che fanno. Più spesso, in come sono, nello stile o nella certezza che vivono facendo le cose di tutti i giorni. E cosa c’è di più quotidiano di un saluto? Però, nel timbro della voce di Maria, nel sorriso che avrà avuto, nella letizia che traspariva dai suoi occhi, nel saluto di Maria insomma, ci doveva essere la novità della presenza di Dio in lei. Dio ci dia occhi e orecchie e cuore di bambino, per riconoscere testimoni così.

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