Dio non è dei morti, ma dei viventi XXXII Domenica del tempo ordinario (anno c) - 6 novembre 2016

commento-al-vangeloDal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».

Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Lc 20, 27-38


Commento a cura di Andrea Busia

sadducei sono una fazione degli ebrei che si differenzia da quella più numerosa dei farisei per alcune differenze che Luca, negli Atti degli Apostoli, descrive così: «I sadducei affermano che non c’è risurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose» (At 23,8). Coerentemente con la loro dottrina questi cercano di portare Gesù sulle loro posizione. La loro domanda si basa sulla cosiddetta «legge del levirato» che troviamo in Dt 25,5 e seguenti: «Quando i fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto non si mariterà fuori, con un forestiero; il suo cognato verrà da lei e se la prenderà in moglie, compiendo così verso di lei il dovere del cognato; il primogenito che essa metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto perché il nome di questo non si estingua in Israele».

Questa era una legge ancora applicata ai tempi di Gesù e la sua trasgressione aveva importanti conseguenze sociali.

Il problema, con la loro argomentazione oltre che nella conclusione, sta nel fatto che quei legami che in questa vita ci definiscono come quelli genitoriali o matrimoniali saranno sostituiti dal legame con Dio: ciò che ci definisce non sarà l’essere figlio di Tizio o la moglie di Caio ma l’essere figli di Dio. Con questo non si indica che non avrà più alcun valore l’amore e l’affetto provato verso i propri cari, tutt’altro: esso avrà pieno compimento perché sarà vissuto nell’orizzonte dell’amore di Dio per ciascuno di noi.

Poiché però i sadducei rifiutavano la risurrezione in quanto non riconoscevano ispirazione e autorità alla tradizione orale, Gesù non poteva limitarsi a una risposta che godesse solo della sua autorevolezza ma aveva bisogno di un’argomentazione fondata sulla tradizione mosaica. E cita così uno dei brani fondativi della tradizione ebraica: la vocazione di Mosè (Es 3,2.6). «L’angelo del Signore apparve [a Mosè] in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. E [il Signore gli] disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe».

Nessun ebreo poteva contestare un’affermazione proveniente da un testo tanto importante e, difatti, Gesù, rivelando Dio come «Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe», toglie loro ogni possibilità di replica. Dio è il Dio della vita: per mezzo di lui tutti vivono e la stessa vita deve avere lui come fine, obiettivo, traguardo.

Spesso, nei brani del vangelo di Luca, troviamo riflessioni sull’amore di Dio o sul comportamento morale mentre troviamo relativamente poche riflessioni sui contenuti della fede (abbondanti invece, ad esempio, nel vangelo di Giovanni). Bisogna però tenere presente che questo brano è collocato dopo l’ingresso di Gesù a Gerusalemme (Lc 19,28ss) e in questo contesto i discorsi di Gesù si soffermano, da una parte, sul fallimento di Gerusalemme e delle sue autorità nell’adempiere alla missione affidata da Dio e, dall’altra, sulla manifestazione della messianicità di Gesù e sulla imminente passione e resurrezione.

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