Enrico Murgia: «Sono felice di diventare prete» Sarà ordinato sabato 26 alle 19 a Su Planu. Domenica 27 alle 10.30 la prima Messa

Enrico MurgiaEnrico Murgia ha 28 anni. Originario della parrocchia Spirito Santo a Selargius, dopo aver conseguito la maturità classica, è stato alunno del Seminario arcivescovile di Cagliari. Ha proseguito il mio cammino al Seminario romano maggiore e presso la Pontificia università Gregoriana, dove ha conseguito il Baccalaureato in filosofia e teologia. Rientrato a Cagliari, ha frequentato il sesto anno pastorale presso il Seminario regionale sardo, e da allora presta il suo servizio presso la parrocchia di san Pietro ad Assemini. L’8 gennaio 2017 è stato ordinato diacono nella parrocchia Collegiata di Sant’Anna a Cagliari.

Arriva l’ordinazione presbiterale. Conclusione di un percorso, avvio di una nuova fase. Quali le sensazioni?

Enorme gioia, molta trepidazione. Porto nel cuore il desiderio di collaborare alla gioia di tanti: a quella di chi il Signore ha posto e continua a porre nel mio cammino. Sono davvero felice di diventare prete in questo tempo, in questa stagione di Chiesa, difficile ma non scoraggiante e ricca di stimoli. Mi obbliga a mettermi in gioco e a consegnarmi a Lui e alla Chiesa per quello che sono, con questa mia umanità fragile ma anche benedetta e preziosa. L’altra sensazione, che in realtà è il mio sentimento più grande, è la gratitudine. Nella mia vita niente è mai stato scontato, banale. Guardo con affetto chi mi ha accompagnato fino ad oggi: la mia famiglia, la mia parrocchia di origine, il seminario, figure di sacerdoti, don Salvatore tra questi, decisive per me e che mi hanno fatto sentire tutta la premura con cui la Chiesa che è madre e maestra, ha preparato i suoi figli.

Nel percorso formativo alcuni anni trascorsi a Roma. Quale il valore aggiunto degli studi fuori Sardegna?

Benedico e dico grazie per tutti e cinque gli anni in cui sono stato alunno del Seminario Romano e dell’Università Gregoriana. So che può sembrare paradossale, ma io lì ho maturato l’appartenenza alla Chiesa universale, ma soprattutto alla nostra Chiesa locale e alla parrocchia dello Spirito Santo dalla quale provengo. Non dimenticherò mai, ad esempio, cosa sia stato vivere nel seminario del Papa, il tempo delle dimissioni di papa Benedetto e l’elezione di papa Francesco. L’avere avuto la possibilità di formarmi a Roma non l’ho mai ritenuta una forma di vanto, perché non ritengo di valere più di altri. Sapevo che il mio formarmi a Roma, avrebbe avuto un senso se non l’avessi tenuto per me, spendendomi poi, a suo tempo, per come posso, nella diocesi in cui sono felicemente incardinato. Ho fatto pace con l’idea che la mia esperienza di Chiesa vale se si sente parte di quella più grande, che nella carità le presiede tutte. Nessuno può togliermi la bellezza del confronto con altre esperienze di Chiesa, di diocesi, evidentemente senza perdere di vista il legame bellissimo e profondo con la realtà diocesana e regionale. Il dono più grande sono state le esperienze pastorali. Ho aperto gli occhi al mondo dei rom, alla piaga della prostituzione, dei centri diurni, del carcere minorile e dei senza fissa dimora della stazione Termini. Il prete è per tutti e per ogni situazione.

Il servizio come diacono in una parrocchia così grande come ti ha aiutato a crescere?

Assemini, San Pietro per me è stata una sorpresa, una rivelazione. Una parrocchia grande, è vero, capace però di donarmi la gioia di stare con la gente e per la gente. Mi sono volutamente immerso dentro il vissuto e il cammino di questa comunità. Penso infatti alla testimonianza esemplare di don Paolo che continua ad avere tanta pazienza per me, all’oratorio, ai bambini, ai ragazzi, alle famiglie, ai momenti di preghiera, alla catechesi, ai suoi laboratori e ai suoi percorsi che per quanto mi riguarda, mi ha impegnato davvero tanto soprattutto per quanto riguarda lo stare, la presenza, la condivisione e l’incoraggiamento in quello che ogni anno pastorale riserva.

Ora l’ordinazione. Cosa pensano i tuoi familiari e i tuoi amici?

In realtà, dovrei chiederlo a loro, però il rimando è la gioia condivisa. Qualcosa di profondamente atteso. Tutti mi dicono: “ti ho visto crescere!”. È stato bellissimo, curiosissimo, vedere, come questo mio cammino ha cambiato prima di tutto la mia famiglia. Ricordo molto bene il no categorico per entrare in seminario, ma questo lo dico non per screditarli, quanto piuttosto per dire “Beati loro, perché hanno capito che l’amore del Signore supera sempre tutti”.

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