Famiglia o lavoro: troppi sardi posti ad un bivio In due anni quasi 1.500 persone hanno lasciato il lavoro per la famiglia

Negli ultimi due anni quasi 1.500 sardi hanno dovuto scegliere se proseguire nell’attività lavorativa oppure se dover seguire i figli e la famiglia.

È accaduto nel 2017 a 592 donne e 90 uomini, e a 655 donne e 135 uomini lo scorso anno.

I dati, resi noti di recente, certificano una deriva che interessa il nostro Paese, uno dei pochi dell’Europa che non agevola la conciliazione tra le esigenze del lavoro e quelle della famiglia.

A pagare di più per questa situazione sono in particolare le donne.

Secondo i numeri diffusi dall’Ispettorato interregionale l’84% delle dimissioni volontarie per maternità riguardano le donne.

«La questione delle dimissioni volontarie per maternità – ha spiegato Maria Tiziana Putzolu, consigliera regionale di parità – è un fenomeno lento e progressivo, che mette alle corde le famiglie, quando devono fare i conti con il lavoro e la cura dei figli. Un fenomeno difficilmente osservabile nella dinamica quotidiana».

Si tratta di persone con un’età compresa tra i 29 e i 44 anni. La maggior parte delle quali lavora  in un’impresa da non più di tre anni, anche se non mancano addetti che operano da dieci anni.

Quanto poi alle qualifiche sono per lo più operaie, impiegate nel settore terziario specie nel commercio o e nei servizi di alloggio e di ristorazione, nella settore sanitario e dell’assistenza sociale, con un contratto part-time.

La maggior parte delle donne ha un solo figlio di neppure un anno e ha dichiarato di dover lasciare il posto per le difficoltà a conciliare il lavoro con la cura del figlio, per ragioni legate o all’azienda o per quelle legate ai servizi di cura.

Cresce anche il numero degli uomini costretti a mollare a seguito della paternità.

In sostanza chi lascia il lavoro per ragioni legate al lieto evento sono lavoratrici e lavoratori di fascia reddituale abbastanza bassa, considerato che lavorano spesso con un contratto part-time in settori produttivi assai fragili, come nel caso del piccolo commercio, la ristorazione o nell’assistenza sociale.

Il danno non è solo per le lavoratrici e i lavoratori ma per tutta la società sarda, e risulta essere irreversibile.

Abbandonato il lavoro questo non viene mai ritrovato, con la conseguenza che la persona spesso rinuncia ed esce definitivamente dal mercato occupazionale.

Da una breve indagine svolta dall’Ufficio della Consigliera regionale per la parità risulta che chi si rivolge ai servizi scolastici privati, sia materne che elementari, i più gettonati dai genitori per via dell’offerta di servizi di accoglienza, mensa e doposcuola per due bambini da «sistemare» durante l’orario di lavoro di uno o entrambi, è necessario sborsare non meno di 700 euro al mese.

Una cifra che spesso è più alta della retribuzione della lavoratrice con un profilo come quello di chi si dimette volontariamente. Da qui la scelta obbligatoria di lasciare il lavoro, sempre che l’altro coniuge ne possieda uno.

Per questo è più che mai urgente mettere in campo politiche del lavoro capaci di tener conto delle specificità legate alle caratteristiche dei lavori, sempre più deboli e più poveri.

L’inversione di tendenza rispetto al suicidio demografico in corso non solo in Sardegna, passa anche attraverso serie politiche si sostegno alla genitorialità.

Roberto Comparetti

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