La «magna charta» di papa Francesco per un «lavoro buono» Il primo incontro della visita del Pontefice a Genova è stato con i lavoratori

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Papa Francesco all’Ilva di Genova

Papa Francesco ha scritto a Genova il nuovo codice etico del mondo del lavoro 4.0. La quarta rivoluzione industriale, dopo il discorso genovese, non sarà un far west senza regole  e indicazioni, ma avrà i suoi paletti, punti cardinali per indicare una sicura direzione di marcia, purché dall’uomo rispettata. Norme per imprenditori, sindacalisti, per gli stessi lavoratori. Regole necessarie  perché «oggi il lavoro è a rischio», soprattutto di disumanizzazione, perché non considerato «con la dignità che ha e che dà», meno importante delle statistiche su consumo, Pil, fattori di produzione. Invece Francesco risistema le cose: il lavoro  è «una priorità umana», come salute, giustizia, istruzione. Pertanto «dove c’è un lavoratore, lì c’è l’interesse e lo sguardo d’amore del Signore e della Chiesa». Anche la fabbrica  è «luogo del popolo di Dio». Infatti «i luoghi della Chiesa sono i luoghi della vita, quindi anche le piazze e le fabbriche».

Il vero imprenditore non è uno speculatore

In questo scenario il Papa risistema i protagonisti attribuendo compiti, ruoli e obiettivi. A cominciare dall’imprenditore vero, da  non confondere  con il «commerciante», colui che «pensa di risolvere il problema della sua impresa licenziando la gente: oggi vende la sua gente, domani vende la propria dignità». La «finanziarizzazione» globale ha progressivamente trasformato l’imprenditore in speculatore. Ma c’è una netta differenza tra i due ruoli e non vanno confusi o sovrapposti. Il Pontefice traccia l’identikit dello speculatore: non ama la sua azienda, e neppure i lavoratori, li vede entrambi solo come mezzi per fare profitto. Licenziare, chiudere e spostare l’azienda non gli crea problemi:  «mangia» persone  e mezzi pur di fare soldi. «Quando l’economia è abitata  da buoni imprenditori – dice il Papa – le imprese sono amiche della gente e anche dei poveri. Allorché passa nelle mani degli speculatori, tutto si rovina. È un’economia senza volti, astratta, spietata. Bisogna temere gli speculatori, non gli imprenditori». Paradossalmente il sistema politico qualche volta sembra incoraggiare più chi specula sul lavoro che non  quanti investono e credono nel lavoro. Il Papa ascolta il grido di dolore di quanti – buoni imprenditori – finiscono nelle maglie dei lacci e lacciuoli dello Stato, degli infiniti codici e codicilli che frenano l’iniziativa individuale, rallentano l’attuazione dei leggi. Un sistema burocratico, creato per prevenire le speculazione, che alla fine danneggia gli onesti e favorisce gli imbroglioni.

Il lavoro nero è anticostituzionale

La crisi degli  ultimi otto anni – iniziata con la «bolla finanziaria» gonfiata a dismisura proprio dagli «speculatori», la rivoluzione tecnologica in atto, la scommessa, finora persa, che la  digitalizzazione avrebbe creato in altri settori  i posti di lavori perduti a causa dell’automazione – ha alterato gravemente il mercato del lavoro: la domanda di lavoro è di gran lunga inferiore all’offerta. Un mare di precarietà dove «nuota» abilmente  lo speculatore, che  trasforma ogni opportunità di lavoro in un ricatto: lavoro nero, bassi salari, poca sicurezza. Prendere o lasciare:  «Guardi dietro di lei, se non le piace se ne vada», dice l’imprenditore-speculatore. Nessun giurista, nessun giudice aveva mai detto che «togliere il lavoro alla gente o sfruttarla con  lavoro indegno e malpagato è anticostituzionale». L’ha fatto il Papa a Genova,  decisamente contrario all’istituzionalizzazione del «non lavoro», sotto forma di «reddito per tutti». «Senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti», ammonisce. «È contro la dignità delle persone mandarle in pensione a 35 o 40 anni, dare un assegno dello Stato. Se manca il lavoro, manca la dignità. Con l’assegno della solidarietà di Stato si può sopravvivere, ma  per vivere occorre il lavoro».

Il mito della meritocrazia

Osannata e invocata la meritocrazia rischia di diventare un disvalore. La cultura competitiva  dentro l’impresa è un errore. Il buon imprenditore è chi sa fare squadra, senza mettere a correre le persone per poi premiare solo  il più veloce. «Quando un’impresa crea scientificamente un sistema di incentivi individuali che mettono i lavoratori in competizione fra loro, magari nel breve periodo può ottenere – dice il Papa – qualche vantaggio, ma finisce presto per minare quel tessuto di fiducia che è l’anima di ogni organizzazione. E così, quando arriva una crisi, l’azienda si sfilaccia e implode, perché non c’è più nessuna corda che la tiene». La meritocrazia affascina molto perché usa una parola bella: il «merito». Ma siccome la strumentalizza e la usa in modo ideologico, la snatura e perverte. Pur di aumentare il profitto anche le parole del Vangelo possono essere manipolate.

«Il nuovo capitalismo – spiega  Francesco – tramite la meritocrazia dà una veste morale alla diseguaglianza, perché interpreta i talenti delle persone non come un dono. Il talento non è un dono secondo questa interpretazione: è un merito, determinando un sistema di vantaggi e svantaggi cumulativi».

Il cattivo lavoro e il consumo

Non tutte le forme di lavoro sono «buone». Far soldi e vivere dei proventi del traffico d’armi, della pornografia, del gioco d’azzardo, organizzando la criminalità non è un lavoro «buono».

Il Papa abbatte anche il vitello d’oro chiamato consumo: «Una società edonista, che vede e vuole solo il consumo, non capisce il valore della fatica e del sudore e quindi non capisce il lavoro. Tutte le idolatrie sono esperienze di puro consumo: gli idoli non lavorano».

Il lavoro è il centro di ogni patto sociale. «Tra il lavoro e il consumo ci sono tante cose, tutte importanti e belle, che si chiamano dignità, rispetto, onore, libertà, diritti, Diritti di tutti, delle donne, dei bambini, delle bambine, degli anziani. Se svendiamo il lavoro al consumo – dice il Papa – con il lavoro presto svenderemo anche tutte queste sue parole sorelle: dignità, rispetto, onore, libertà. Non dobbiamo permetterlo, e dobbiamo continuare a chiedere il lavoro, a generarlo, a stimarlo, ad amarlo. Anche a pregarlo».

Mario Girau

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