Giovani studenti violenti: dove sono gli adulti? Riflessioni a margine degli episodi di cronaca

«Vorrei dire ai giovani, a nome di tutti noi adulti: scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto; se, anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie».

Sono parole di Francesco alla Messa di chiusura del recente Sinodo dei Giovani.

Basterebbero queste poche frasi per capire quale grado di responsabilità hanno avuto, e continuano ad avere, gli adulti verso i giovani, specie se minorenni.

Il susseguirsi di notizie di cronaca che vedono protagonisti in negativo i giovani conferma come gli adulti, soprattutto quelli di riferimento, abbiano abdicato al proprio ruolo.

Paolo Crepet, psicologo, volto noto del piccolo schermo, lo ha più volte sottolineato. «Convinti che si possa crescere da soli – aveva dichiarato lo scorso mese di aprile, dopo l’ennesimo episodio di violenza ai danni di un insegnante – i giovani sacrificano alla comodità di un presente senza impegno un futuro che non si ottiene senza fatica. Occasioni che non tornano. Ma tutti sono vittime. Tutti sono colpevoli».

Considerazioni valide anche dopo i fatti di Carbonia e Senorbì: nel primo caso una docente è stata fatta bersaglio di lanci di oggetti in classe, nel secondo invece un alunno è stato accoltellato da un compagno di scuola.

Due episodi che vanno ad aggiungersi ad altri del recente passato, saliti alla ribalta delle cronache, come ad esempio l’insegnante dell’alberghiero di Monserrato stesa da un pugno di un alunno, fatto avvenuto poco più di un anno fa.

Non c’è altra istituzione, dalla sanità alla politica fino alla giustizia, nella quale si possa esercitare la prepotenza senza pagare dazio.

Il problema sta proprio in una sorta di impunità che contraddistingue questi episodi. Raramente si arriva a provvedimenti esemplari nei confronti non solo dei minori, ma soprattutto degli adulti ai quali i minori sono affidati.

Il vero problema sta proprio nell’assenza di adulti di riferimento, anche quando si tratta di genitori.

Poco meno di un mese fa, la notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre, quella che commercialmente viene chiamata di «Halloween», ha visto, anche a Cagliari, un ingolfamento dei pronto soccorso degli ospedali cittadini, a causa dei troppi giovani in coma etilico, con genitori alzatisi prima dell’alba per andare a riprendere i propri figli, reduci dall’ennesimo stordimento da festino.

Tra i giovani c’è chi ha affermato di ricorrere all’alcool perché «la droga costa troppo», come letto sulla stampa locale, e chi invece, adulto, non ha saputo dare spiegazioni al comportamento del proprio figlio.

L’abuso di alcool e di droga sono segnali di un disagio e di una voglia di fuga da una realtà che evidentemente non piace.

Troppo spesso i genitori non dialogano con i propri figli, anche per mancanza di tempo. «Sempre più spesso – ha detto lo scorso 7 settembre all’udienza generale Papa Bergoglio – genitori e figli si incontrano a casa soltanto a sera, e la situazione è ancor più pesante per i genitori separati».

Per questo è necessario «recuperare con la responsabilità e il ruolo – ha aggiunto Francesco – anche un metodo. Che non potrà ridursi al “solo parlare” – “anzi, un dialoghismo superficiale non porta a un vero incontro della mente e del cuore” – ma sarà piuttosto “capire “dove” i figli sono veramente nel loro cammino».

Una possibile via d’uscita per gli adulti, grazie alla quale potrebbero riprendere in mano le proprie responsabilità educative.

Roberto Comparetti

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