Il coronavirus spegne il sorriso spontaneo di Nabeel Khair Il medico palestinese aveva fatto della Sardegna la sua seconda casa

In questo tempo in cui il «coronavirus» sta prepotentemente abitando le nostre giornate, il senso di condivisione e di dolore con le famiglie degli ammalati e delle vittime, fattosi costantemente preghiera, ci chiede di fare i conti con le notizie che riguardano direttamente persone amiche e vicine.

La morte di Nabeel Khair, la mattina di mercoledì 8 aprile, ha reso il dramma dell’epidemia ancor più vicina e dolorosa di quanto già non lo fosse.

Un medico, di origine e appartenenza palestinese, che in Sardegna aveva trovato la sua seconda casa, ultimamente dislocato come medico di base tra Tonara e Aritzo e comunque residente nel cagliaritano.

Un marito e un padre segnato intimamente dal dolore più grande che si possa conoscere sulla terra: nell’estate del 2018 ha dato il suo ultimo saluto alla sua primogenita Jasmin, morta a 20 anni in Giordania in un campo profughi per siriani.

Un amico di 62 anni, totalmente, e giustamente, preso dalla causa palestinese, medico nell’unione generale dei medici palestinesi in Italia, dirigente e segretario e vice segretario di Fatah/Italia, vice presidente dell’unione delle comunità palestinese in Europa.

Un amico, credente, preoccupato di far giungere anche tra le nostre chiese la sofferenza dei cristiani in Terra Santa e  testimone di un desiderio di pace e riconciliazione fondato sulla giustizia e sulla verità.

Un amico, sempre pronto a cogliere ogni occasione per parlare della sua terra, per raccontare delle sue bellezze incastonate nella complessità della convivenza e nelle contrarietà generate dagli uomini e dall’indifferenza globale.

Nabeel, medico apprezzato e competente a servizio della persona, comprensivo e sensibile perché segnato anche lui dal dolore e reso ancora più umano dal continuo riferimento alle ingiustizie e alla condivisione con il suo popolo.

Ho conosciuto Nabeel mentre organizzavamo un incontro di preghiera per la Terra Santa nel luglio 2012, ai tempi delle ennesime incursioni israeliane nella Striscia di Gaza; da allora, più volte, è stato presente nella parrocchia Madonna della Strada per parlare della Palestina e per raccontare la situazione dei cristiani in Medioriente, sensibilizzando, anche attraverso la vendita dei loro prodotti artigianali, il sostegno delle nostre chiese per i fratelli e le sorelle della culla del cristianesimo.

L’ultima volta che venne a trovarci, parlò ai ragazzi della parrocchia in occasione della Novena di Natale del 2019, raccontando di Betlemme, delle tipicità del Natale e di come lui stesso si preparava alla festa.

La sua storia, il suo nome e il suo ricordo si aggiungono a quelli di tanti medici che, a stretto contatto con i pazienti, hanno contratto il virus, deponendo le armi davanti ad un così acerrimo nemico invisibile.

Rimane il sorriso spontaneo e immediato di Nabeel, sul suo volto segnato dai colori olivastri della Palestina e dalla fiduciosa, combattiva e incessante richiesta di pace e di giustizia per il suo popolo.

Emanuele Mameli

RIPRODUZIONE RISERVATA
© Copyright Il Portico