Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore V Domenica di Pasqua (Anno B)

Io sono la viteDal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.

Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.

Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto.

In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

(Gv 15,1–8)

Commento a cura di Rita Lai

«Offrendo il suo corpo sulla croce, diede compimento ai sacrifici antichi, e donandosi per la nostra redenzione, divenne altare, vittima e sacerdote» (Prefazio Pasquale V).

Altare, vittima e sacerdote: Cristo vive in sé la pienezza del sacrificio.

Quando parliamo di sacrificio eucaristico, lo intendiamo in pienezza, nella sua totalità. Anche l’immagine della vite, questa pianta unica nel suo genere, di cui nulla si spreca, che richiede tanto lavoro per arrivare al suo frutto, il vino, esprime la nostra elezione e la nostra destinazione. Lui, Cristo è la vite, e come tale deve dare frutto, ma noi per dare frutto dobbiamo essere innestati in essa, in Lui. Dobbiamo anche noi essere vite, affidarci alle cure del Padre, l’agricoltore.

Non abbiamo scelta: come il grano non può dare frutto se non muore, così noi non possiamo dare frutto se non rimaniamo in Lui, vite. Ci sono delle condizioni per dare frutto: dopo la tenerezza del Buon Pastore, in questa domenica V di Pasqua facciamo i conti con l’essere innestati in Lui che è luogo, vittima e sacerdote dell’offerta.

La nostra offerta di vita, quella che celebriamo in ogni Eucaristia, come quella che viviamo nella vita ordinaria, è innestata nella Sua. Ancora una volta l’espressione chiara e solare di questa verità è il Battesimo. Da noi stessi, separati dalla vite, non possiamo dar frutto, siamo tralci sterili. Siamo comunque curati, se portiamo frutto, affinché ne portiamo di più. L’aspettativa è alta. Ma abbiamo la grande opportunità di rimanere (gr. ménein): ed è un rimanere che da parte nostra indica saldezza in Dio e da parte Sua dimorare in noi, anche se i due significati sono interscambiabili. Il rimanere è comunque legato ad un ascolto.

Come l’essere innestati nella vite: c’è un ascolto che precede l’innesto, dal quale l’innesto nasce, che purifica il cuore e lascia una traccia nel discepolo che ascolta. Anche la Parola ascoltata rimane, e purifica e prepara all’innesto. La solidità di questo Vangelo, che presenta senza sfumature e con immagini vivissime il rapporto col Signore, ci pone dinanzi ad una scelta, quella di dimorare o no, ed è da farsi verso la «vera» vite, come il Pastore era quello buono: il discepolo è avvisato. Non può sbagliare.

Ci sono tanti pastori che sono mercenari e tante viti che non danno frutto. Il discepolo del Signore è chiamato a vivere la sua vita di sequela qui e ora, senza tentennamenti. Il suo rimanere non è senza conseguenze, il rimanere della Parola in Lui non può che dare frutto. Rimanere si riveste allora di due accezioni: restare nella sfera del Signore, nella sua amicizia, nella sua alleanza.

Portare nella vita quella Parola che si è ascoltata e quella presenza che si è sperimentata. La seconda accezione è collegata con la prima: rimanere è anche andare, che diviene appunto portare frutto. La Parola ricevuta, come la forza vivifica della vite in cui si è innestati, non può restare per sé. Va annunciata, condivisa, elargita a tutti quelli che la vorranno ricevere.

È il ministero del discepolo: donare quello che ha ricevuto, la tenerezza del pastore buono, la linfa della vite vera. Tutto è «vero» nella fonte a cui il discepolo attinge. La menzogna è bandita, lo spazio è per quella vita donata che noi chiamiamo offerta, eucaristia. Anche la nostra.

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