La pace è l’unica via di progresso umano

editorialeLa foto scelta per questo primo numero del 2017 è relativa alla celebrazione della messa di Natale nella cattedrale di Aleppo, o meglio di ciò che ne rimane.

Un segno di speranza per la martoriata città siriana e per i suoi abitanti che, loro malgrado, continuano a stare tra l’incudine e il martello. I grandi della Terra sembrano, ma non è certo, che abbiamo deciso di mettere a tacere le armi, anche se questo non si tramuterà in un reale cambiamento delle condizioni di vita dei cittadini di Aleppo, specie per quelli della zona est della città, i più bersagliati dalla sfida tra le due fazioni in campo.

L’amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, monsignor Pierbattista Pizzaballa, nei giorni scorsi si è detto preoccupato per la condizione dei cristiani di quella zona.

La cronaca conferma le parole del presule: non c’è giorno nel quale non giungano notizie di violenze o difficoltà per i cristiani in Medio Oriente, in momento nel quale le tensioni sembrano essere più forti che mai. «Siamo impauriti da quello che succede ─ ha detto il presule ─ con le nostre speranze che qui, come in troppi Paesi del mondo, naufragano in mezzo alla corruzione, all’impero del denaro, alla violenza settaria, alla paura: in Siria, Iraq, Egitto, Giordania. Ma anche nella nostra Terra Santa continua a salire la sete di giustizia e dignità, di verità e amore vero. Continuiamo, infatti, a rifiutarci e a negarci vicendevolmente, vivendo e pensando come se ci fossimo solo noi e non ci fosse posto per l’altro».

In questo senso è la politica a dover trovare una soluzione. «Il nostro futuro ─ ha detto Pizzaballa ─ appare sfuocato. Manchiamo di visione. Bisognerebbe lasciare da parte le false pretese e gli egoismi, i politici dovrebbero guardare con coraggio alle sofferenze della propria gente e aspirare alla pace e alla giustizia per tutti».

Si continua però a marciare nella direzione opposta, come nel caso di Cremisan, vicino a Betlemme, dove, nonostante tutti gli appelli, è stato costruito un muro espropriando le terre delle famiglie cristiane.

Non solo ad Aleppo i cristiani sono dunque alla mercé dei grandi della Terra, che continuano la loro partita a «Risiko» sulla pelle di uomini, donne e bambini inermi.

La crisi che si è innescata tra Israele e il resto del mondo avrà conseguenze anche per i cristiani che vivono in quella zona.

Una possibile via d’uscita l’ha suggerita Francesco nel messaggio dello scorso 1 gennaio, in occasione della 50ma Giornata mondiale della pace, nel quale ha indicato la nonviolenza come stile di una politica di pace. «Chiedo a Dio ─ scrive il Papa ─ di aiutare tutti noi ad attingere alla nonviolenza nelle profondità dei nostri sentimenti e valori personali. Che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace. Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme».

Di questo si è parlato anche alla Marcia per la Pace dello scorso 29 dicembre a Cagliari. La Sardegna ha sete di pace per i giovani senza lavoro, per l’ambiente sfruttato senza criterio e deturpato in mille maniere, per le fasce più deboli della popolazione (gli indicatori parlano di circa mezzo milione di persone) che chiedono di essere sostenute in un momento di grande difficoltà.

«La pace ─ come scriveva 50 anni fa Paolo VI ─ è l’unica e vera linea dell’umano progresso».

Roberto Comparetti

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