Le conversioni delle strutture ecclesiastiche

EditorialeLa riforma del diritto processuale voluta da papa Francesco, per gli addetti ai lavori nota come Motu Proprio «Mitis Iudex Dominus Iesus», ha, tra i suoi assi portanti, quello che il Pontefice rubrica come conversione delle strutture ecclesiastiche. E giacché la Quaresima chiede a tutti di convertirsi, ben venga che anche le strutture lo facciano o non smettano di farlo.

Anche il Maestro, molto tempo prima, su questo tema è stato chiaro e sferzante: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato». (Mc 2,27).

Non si riferiva in maniera specifica ai Tribunali ecclesiastici ma al rischio del pervertimento delle strutture che, in questo come in altri campi, si corre laddove l’uomo venga asservito alle organizzazioni, alle tradizioni e alle procedure e queste cessino di essere in funzione della persona.

Per esempio, è quello che succede quando seguire pedissequamente una ricetta diventa più importante del gusto del piatto che si sta cucinando. A chi poi dovesse eccepire circa la bontà della vivanda, si potrà sempre obiettare la correttezza formale dell’esecuzione culinaria. Ci caschiamo dentro un po’ tutti, quando perdiamo di vista l’obiettivo da raggiungere e ci focalizziamo unicamente sulle modalità approntate per perseguirlo perché, per certi versi, rispettare passo passo la ricetta senza farci troppe domande ci rassicura e ci mette illusoriamente al riparo dal pericolo dell’imprevisto.

Al cuoco in questione oggi Gesù chiederebbe: ma per te che cos’è più importante, seguire la ricetta per filo o per segno o cucinare un piatto appetitoso?

A ben vedere i due aspetti non sono necessariamente in contrapposizione, ma lo divengono quando il primo prevarica il secondo.

Al lettore di queste poche righe che si trovasse spiazzato da un’imprevista nota gastronomica invece di un arguto commento giuridico, volentieri proponiamo di concedersi il gusto di un ordinamento che, come quello canonico, è impastato degli aspetti ordinari della vita quotidiana.

Non capita spesso, nelle svariate sfaccettature che l’orbe forense propone, di sentire che gli avvocati e i giudici collaborino insieme per la ricerca della verità e non siano assestati su fronti aprioristicamente contrapposti, che la durata media di una causa sia di poco superiore ai dodici mesi, che quasi il 95% delle cause ottenga una sentenza favorevole rispetto alla domanda di chi l’ha introdotta, che tutti coloro che non possono sostenere gli oneri processuali e di patrocinio ottengano l’esenzione, che le sentenze riformate nel grado di appello siano praticamente in una percentuale irrisorie e che il rapporto tra cause pendenti e cause concluse sia superiore al 50% (in altri termini, questo significa che non si stanno accumulando cause da trattare).

In sintesi, i dati relativi all’Anno giudiziario appena concluso ci restituiscono l’immagine di un Tribunale ecclesiastico regionale in salute, capace di rispondere accuratamente, in tempi brevi e a costi estremamente contenuti, alle esigenze dei fedeli che lo interpellano.

Possiamo quindi assolvere il Tribunale ecclesiastico dal dovere della conversione? No, affatto. Però almeno leggendo i dati proviamo a non condannarlo soltanto. Capita spesso, anche tra noi fedeli, di sentire serpeggiare le stanche voci qualunquistiche che dipingono il riconoscimento di nullità come un procedimento «solo per ricchi», estenuante nei tempi, di esito assolutamente incerto e imprevedibile, salvo ovviamente i necessari «agganci».

Le cifre raccontano esattamente il contrario. Almeno chi si è interessato all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2017 del Tribunale ecclesiastico potrà raccontare di una conversione che è ancora lungi dall’essere compiuta, ma già regala il gusto di qualcosa di buono.

Emanuele Meconcelli – Vicario giudiziale aggiunto Tribunale ecclesiastico regionale sardo

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