Il nostro orgoglio è avere figli con disabilità Il modello dell'Abc Sardegna esportato nel resto d'Italia

L'orgoglioÈ sempre vivo il dibattito sul ruolo della famiglia alle prese con un membro con disabilità. Opinionisti, specialisti, genitori, persone con disabilità alimentano un intenso dibattito nazionale che crea differenti visioni legate alle esperienze concrete. La nostra storia può dare un contributo su come la famiglia, se sostenuta, può farcela. La famiglia non è un luogo idilliaco, questo lo lasciamo dire a qualche creativo pubblicitario che pensa così di poter vendere più detersivi o merendine.

Ma quante volte ci è stato detto: «Non pensate ai vostri figli disabili, pensate al lavoro alla carriera, la famiglia va sostituita, i genitori non sono in grado di capire i propri figli disabili». Se è vero che nella famiglia si manifestano le più dure piaghe sociali e personali, è anche vero che, a differenza di altre Istituzioni, la famiglia se sostenuta ha risorse proprie per creare soluzioni che non di rado possono costituire un esempio anche per altre forme di aggregazione sociale. È l’esperienza così ricca dei piani personalizzati «Modello Sardegna» per le persone con disabilità grave, unica in Italia e promossa dall’ABC insieme alle migliori associazioni di genitori, ci ha dato respiro e evitato la segregazione di più di 30 mila persone con disabilità.

Ma è ancora necessario lottare per i diritti? Per evitare la marginalizzazione del «diverso»?

Sì. La discriminazione non è solo un ricordo della storia, come ricordato nel giorno della Memoria con il famigerato progetto T4 per l’eliminazione dei nazisti delle persone con disabilità: sempre più in maniera esplicita anche oggi ritorna l’idea che la persona con disabilità è solo un peso, un fardello, che i costi sociali e sanitari possono essere superflui per la comunità.

Ed è così che solo pochi anni fa il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists di Londra chiese al Nuffled Council on Bioehtics di poter decidere di sopprimere i neonati con disabilità grave, dopo la nascita. Nel frattempo scoppia la polemica per la richiesta di alcuni medici olandesi di poter procedere alla soppressione dei bambini disabili nati con spina bifida, scatenando l’indignazione di famiglie in tutto il mondo. Le motivazioni sono sempre le stesse: risparmiare ai genitori il fardello emotivo, non drenare le limitate risorse della sanità incrementando l’esistenza in vita di persone con disabilità. Queste ultime fortemente sostenute da Peter Singer, bioetico di fama internazionale, nel forum promosso dal quotidiano inglese The Independent .«Ucciderebbe un bambino disabile?», chiede una lettrice irlandese. «Sì, se questo fosse nel miglior interesse del bambino e della famiglia», risponde, «Se paragoniamo un nuovo nato con disabilità intellettiva a un cane o a un maiale, scopriremo che il non umano ha capacità superiori». 

Questa raccapricciante mentalità cambia il mondo dei valori condivisi da tutti e cerca di influire sulle scelte politiche. Però diciamola tutta, per non cadere nella retorica: se vogliamo essere lontani dalla follia nazista la disabilità è questione che riguarda tutti.

Così come ci facciamo carico delle spese per la difesa o l’istruzione, è un dovere istituzionale sostenere realmente, con servizi personalizzati e co-progettati, le persone con disabilità e le loro famiglie. Non discriminare vuol dire ancor prima dei diritti di cittadinanza viene la promozione di diritti umani.

Operativamente bisogna disincentivare gli istituti «mangia soldi», quelli che recentemente ha evocato il sindaco di un paese della Sardegna per rinchiudere 50 persone down o quelli che vorrebbero costruire alcune organizzazioni per internare i ragazzi con autismo. Noi siamo orgogliosi di essere genitori dei nostri figli disabili, inclusi nella società e per aver cambiato la nostra vita. In meglio.

Marco Espa – Presidente nazionale Associazione Bambini Cerebrolesi

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