Marta, Marta, tu ti affanni ma di una cosa sola c’è bisogno XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.

Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

(Lc 10, 38-42)

Commento a cura di Fabrizio Fabrizi

Nel Vangelo di domenica scorsa abbiamo meditato come non è l’uomo ad andare in cerca di Dio, ma è il Dio di Gesù Cristo che va in cerca dell’uomo, nel vivo delle relazioni interpersonali.

Questo avviene quando viviamo l’incontro imprevedibile non con chi la pensa come noi, non con chi possiede i nostri stessi gusti, non con chi è ricco di beni e di valori tali da arricchire le nostre vite. È nell’incontro con la persona povera che Dio bussa alla porta del nostro cuore, chiamandoci a servire la sua volontà di accoglienza e di servizio verso chi si trova in una condizione di vulnerabilità e di bisogno.

Quando sembrerebbe tutto abbastanza chiaro, ecco che il Vangelo della Liturgia Eucaristica di questa XVI Domenica del Tempo Ordinario pare smentire il primato da dare al servizio verso il prossimo, nel momento in cui esso sembra dare priorità alla dimensione contemplativa della vita di fede, giustificata dalle parole conclusive che Gesù rivolge a Marta: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

La tensione tra la vita attiva e la vita di preghiera è stata una costante nella storia della Chiesa, con l’alternarsi di posizioni che hanno affermato il primato dell’una o dell’altra. Anche nelle nostre comunità cristiane ci troviamo spesso a dibattere a quale, tra le due dimensioni – quella attiva e quella contemplativa –, vada riconosciuto maggior valore e maggiore dignità.

Tuttavia, il brano della Liturgia di questa Domenica vuole superare tale falsa opposizione e lo fa in modo simile a ciò che avviene nei film quando, all’interno della trama, la telecamera si sofferma su un aspetto o su un particolare, per offrire una chiave di lettura a tutta la sceneggiatura. Similmente, il celebre brano dell’incontro tra Gesù e le due sorelle Marta e Maria non funge da correzione di rotta rispetto a quella proposta dal brano immediatamente precedente (la Parabola del buon samaritano), ma intende attivare un dinamismo di purificazione nel nostro modo di affrontare la vita.

Se Marta rappresenta la volontà umana autoreferenziale, Maria invece rappresenta la volontà umana decentrata su una Parola (quella di Gesù) trascendente e ri-orientante l’esistenza personale.

Non si tratta allora della competizione tra due distinte e differenti occupazioni o stati di vita (come lo sono la vita attiva e la vita contemplativa), quanto piuttosto del confronto tra due modalità di stare al mondo: quella che ritiene che tutto dipende esclusivamente da sé e quella che, invece, si riconosce visitata da un’iniziativa gratuita di amore.

Da una parte, la modalità frenetica di condurre la propria vita, propria di chi si ritiene unico regista della propria storia, dall’altra la modalità decentrata, perché aperta a una Parola altra dalla propria, che vive di riconoscimento e gratitudine nei riguardi dell’iniziativa di amore di Dio.

Quale indicazione concreta il testo di Luca 10 ci offre, per non lasciarci risucchiare dalla frenesia del fare, dall’iperattivismo volontarista che ci allontana dalla relazione gratuita e sincera con Dio, con gli altri e con noi stessi?

Il Vangelo invita ciascuno di noi a recuperare la dimensione dell’ascolto attento e fiducioso, che ci fa riconoscere nelle vicende della nostra vita e della realtà le grandi cose compiute da Dio, conducendoci a distinguere le «parole» che aprono le nostre esistenze alla relazione di comunione da quelle che, invece, le rendono anonime.

L’ascolto attento e meditato ci consente di scoprire Dio quale interlocutore delle nostre esistenze personali, come Colui che «nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici» (Dei Vebum, I, 2).

Nel suo dialogo con Marta Gesù parla anche a noi; le sue parole sono liberanti perché sollecitano ognuno di noi a verificare se ciò che facciamo lo compiamo sotto la spinta dell’affanno o, piuttosto, come espressione della nostra adesione all’amore di Dio.

La visita che Gesù fa a Marta e Maria è rappresentativa della visita che continuamente Dio opera nelle nostre esistenze, non per giudicarle e condannarle, ma per riscattarle dall’inautenticità.

L’ascolto della Parola del Signore («Gesù a casa di Marta e Maria») e l’ascolto compassionevole del prossimo («Parabola del buon samaritano») sono le due modalità di riscatto delle nostre esistenze dalla logica dell’autosufficienza e dell’affanno, nella misura in cui attraverso tale ascolto ci scopriamo radicati nell’amore gratuito di Dio, fonte di ogni libertà e di ogni relazione di comunione.

RIPRODUZIONE RISERVATA
© Copyright Il Portico