La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Dal Vangelo secondo Luca

(Forma breve)

Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.

Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!

Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.

In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa!».

Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.

Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: «È vicino a voi il regno di Dio». 

(Lc 10, 1-9)

Commento a cura di Fabrizio Fabrizi

Soltanto il Vangelo di Luca racconta, in due distinti brani, l’invio in missione da parte di Gesù dei suoi discepoli: l’invio dei Dodici Apostoli (Lc 9, 1-6// Mt 10, 5-42 e Mc 6, 7-12) e l’invio dei 72 discepoli, nel testo della Liturgia di questa XIV Domenica del Tempo Ordinario. Come interpretare la peculiarità del duplice racconto dell’invio dei discepoli propria del terzo Vangelo?

Tale sottolineatura operata dall’Evangelista pone in evidenza che la missione non è una prerogativa esclusiva di una cerchia ristretta di prescelti, ma riguarda tutta la vita della Chiesa nei suoi differenti carismi e nelle sue distinte responsabilità.

Tutti i cristiani sono chiamati – nel rispetto della specifica vocazione di ognuno – ad essere testimoni ed annunciatori dell’amore salvifico di Dio.

Il numero riportato nella pagina del Vangelo di «72 discepoli» non è casuale ma rinvia al numero delle nazioni riportato nella traduzione greca di Genesi 10, ad indicare che tutti i popoli della Terra sono destinatari della salvezza del Dio di Gesù Cristo e la Chiesa, per vocazione, non deve costituirsi come sètta ma quale comunità aperta ed inclusiva.

Anzitutto, la missione non è un’opera dell’uomo, non risponde cioè ai comuni canoni umani di ricerca di un profitto e di un’egemonia sulla società e sulle coscienze delle persone, ma è risposta alla chiamata di Dio in Cristo («[Gesù] li inviò)».

La Chiesa non è un’azienda in cerca di curricula funzionali all’affermazione del proprio dominio nel mondo, ma invoca da Dio il dono di «operai» per la Sua (di Dio) messe.

Nessun cristiano deve sentirsi ed atteggiarsi come fosse il padrone della Comunità di Dio, ma riconoscersi, in umiltà e disponibilità, quale collaboratore del Signore: non dimentichiamo mai che non siamo noi i salvatori del mondo ma che il mondo è già stato salvato da Dio in Cristo.

Come pure, il discepolo non abita il mondo con un’attitudine di conquista e possesso, ma secondo uno stile di gratitudine, di dono e condivisione.

Come Gesù, che non ha dove posare il capo (lo abbiamo già letto nel Vangelo di Domenica scorsa), così anche il discepolo è chiamato a maturare e a praticare un attitudine da viandante, di chi non si sente mai arrivato ma sempre in cammino dentro la storia umana alla sequela di Cristo, non corazzandosi dietro false sicurezze – perlopiù costituite da attaccamenti e dipendenze varie – ma confidando nella cura amorevole di Dio.

Non cedendo a logiche di dominio e violenza, e neppure a logiche di un accumulo egoistico, ma a vivere di essenzialità e condivisione, confidando nella Provvidenza divina.

Come discepoli di Cristo, la Parola di salvezza di questa Domenica ci interpella a liberarci di tutto ciò che ingombra le nostre esistenze, di tutto ciò che le appesantisce e le ingolfa, di tutto ciò che ci fa ripiegare in noi stessi e chiude il nostro cuore a Dio e agli altri.

È una Parola che ci invita a riscoprire la bellezza e la beatitudine della semplicità e dell’essenzialità, della libertà interiore e della condivisione.

Che ci invita a non abbatterci e rassegnarci dinanzi agli ostacoli e ai rifiuti umani, ma a riconoscere anche nelle situazioni ostili la vicinanza di Dio. E in questo modo annunciare la prossimità di Dio (= il regno di Dio) agli ultimi della Terra, agli emarginati e agli esclusi di questo mondo.

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