Moirano: «Miglioriamo i servizi e razionalizziamo le spese Parla il manager dell'Azienda per la Tutela della Salute

moiranoL’anno appena iniziato rappresenta uno spartiacque per la sanità in Sardegna. Per il direttore generale dell’Azienda per la tutela della salute, Fulvio Moirano «esistono dei buoni margini per poter migliorare i servizi e razionalizzare la spesa».

Partiamo dalla recente Riforma della rete ospedaliera in Sardegna. Lei ha sposato l’esigenza di riformare. Come mai?

Partiamo dall’aspetto formale che ci impone di adempiere a quanto è previsto dal Decreto ministeriale numero settanta, cosiddetto «Regolamento della rete ospedaliera», al quale tutte le regioni devono adeguarsi. Anzi aggiungo che la Sardegna lo ha fatto con un certo ritardo.

E poi?

Esiste anche un problema qualitativo ed economico. I due aspetti stanno insieme perché l’Isola, sino al 2016, ha speso per la sanità molto più di quello che è il teorico finanziamento, fissato per garantire i livelli essenziali di assistenza. Attraverso il provvedimento adottato dalla Regione, c’è stata una forte riduzione e la sanità sarda ha fatto un notevole recupero di efficienza.

Nodo centrale per la Riforma è il principio dell’accentramento dei servizi. Quanto vale d’altra parte il principio del decentramento?

Il regolamento nazionale sulla rete ospedaliera consta di due principi fondamentali. Direi che noi lo abbiamo applicato in modo molto generoso, mentre io personalmente sarei stato un medico più chirurgico.

Dottor Moirano si spieghi meglio?

Vivendo qui mi sono reso conto che il Decreto che definisce gli standard qualitativi, quantitativi, strutturali e tecnologici dell’assistenza ospedaliera, sarebbe risultato di difficile applicazione in Sardegna, per cui era necessario trovare soluzioni alternative. La Giunta ha utilizzato questi spazi di autonomia senza i quali la situazione della sanità sarda sarebbe stata davvero molto diversa.

Sul disavanzo del sistema sanitario?

Affrontando questo problema, direi che per 220 milioni è attribuibile alle aziende ed in parte ai cosiddetti extra Lea (ad esempio farmaci contro l’epatite C molto diffusa in Sardegna), spese straordinarie che aprono un buco cui va data copertura. Il regolamento nazionale, previsto dal decreto già citato, prevede un bilanciamento tra bacini di utenza di cittadini, dando dei range da un numero al suo doppio. Faccio un esempio. Un dipartimento di emergenza di secondo livello è possibile concepirlo in un bacino che vada dai seicentomila abitanti ad un milione e duecento. Questo range trova la sua giustificazione nei tempi di percorrenza. Per un bacino d’utenza inferiore ai centocinquantamila ma superiore agli ottantamila, è possibile avere un pronto soccorso. Sotto queste cifre non si dovrebbe avere niente.

E le aree disagiate?

Il regolamento contempla anche le situazioni di territori con bassa densità di popolazione. In quel caso è possibile mantenere la struttura ospedaliera, fornita solo di medicina generale e pronto soccorso. È possibile fare una chirurgia di elezione, cioè non di urgenza. Rispetto a questi dati i parametri utilizzati dal Consiglio regionale sono molto più bassi.

Parliamo adesso di eccellenze in campo sanitario. Come tutelarle e potenziarle?

La Sardegna investe molto denaro nella sanità e io ritengo che in parte venga speso anche male, attraverso una parcellizzazione eccessiva che non garantisce sempre qualità. Se riusciamo a razionalizzare le frammentazioni si potrebbero ricavare le risorse per ridurre questo disavanzo che è molto consistente. Nelle regioni a statuto ordinario, se si spende più del 5 per cento del fondo scatta automaticamente un piano di rientro. Nel nostro caso abbiamo addirittura il dieci percento di sfondamento, esattamente il doppio.

Tutto è legato all’eccesso di spesa?

Un primo passo lo abbiamo fatto attraverso il percorso già intrapreso con la rete ospedaliera e la presenza dell’Ats, che a partire dal primo gennaio dell’anno appena iniziato è partita a pieno regime. In questo spazio si potrebbe andare a investire sulle cosiddette eccellenze, che io preferisco definire qualità distribuite delle strutture. La soluzione in ultima analisi sta nel ricavare le risorse dalle sacche di inefficienza e nel traghettarle in quelle di qualità.

Maria Luisa Secchi

RIPRODUZIONE RISERVATA
© Copyright Il Portico