Gesù disse: «Non mi hai conosciuto Filippo?» V Domenica di Pasqua (Anno A)

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore.

Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».

Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.

Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.

In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

(Gv 14, 1-12)

Commento a cura di Davide Meloni

«Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da lui», scriveva Soloviev. Il cuore della vita cristiana è una persona. Non è innanzitutto questione di cose da credere o leggi da osservare, ma un «Tu» presente che ci chiama per nome e ci coinvolge in una vita nuova.

Lo si vede molto bene nel Vangelo di questa domenica. Siamo nel bel mezzo del tempo di Pasqua ma la Chiesa ci fa fare un piccolo salto indietro, riportandoci ad un dialogo che avviene nel corso dell’ultima cena.

Proprio in queste parole di Gesù, pronunciate poco prima di venire catturato e ucciso, troviamo l’essenza dell’incontro con il risorto. Incontro che continua ad accadere oggi.

La prima cosa che Gesù dice in questo brano è: «Non sia turbato il vostro cuore». Come spesso riscontriamo nella Scrittura, quando Dio parla alle persone la prima cosa che fa è invitarli a non temere.

Lo fa perché sa che noi siamo pieni di paura: si tratti di paura per qualcosa che minaccia nel presente la nostra vita o invece di un’angoscia dai contorni poco definiti di fronte all’imprevedibilità dell’esistenza. Gesù dice di non lasciarci turbare. Lo dice ai suoi discepoli, lo dice all’uomo di ogni tempo, lo dice proprio a me.

«Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me». Possiamo non aver paura solo se riponiamo la nostra fede in lui. Qui fede non indica tanto il credere che Dio esista o che Gesù sia il Figlio di Dio.

Avere fede vuol dire soprattutto avere la semplicità di cuore di poggiare tutta la nostra vita sulle spalle di Cristo.

È un attaccamento a lui carico di fiducia e affezione, tanto che la nostra povera vita, pur con tutti i suoi tentennamenti, dubbi, cadute diventa un grande «Sì» a lui.

Tante volte Gesù nel Vangelo loda la fede di persone semplici, malandate, spesso malviste dagli altri, ma che nell’incontro con lui sono capaci di un totale affidamento delle loro vite a lui. Pensiamo al centurione, al cieco Bartimeo, all’emorroissa.

Dobbiamo imparare ad avere una fede come la loro.

Se affidiamo tutta la nostra vita a lui che è «la via, la verità e la vita» e che è il volto stesso del Padre, può accadere una cosa decisamente singolare, forse la promessa più «strana» che Gesù fa nel Vangelo: compiremo le sue stesse opere e anzi ne faremo «di più grandi».

Potremmo pensare che Gesù qui abbia decisamente esagerato.

Eppure guardando le vite dei santi – non solo quelli espressamente riconosciuti tali dalla Chiesa, ma anche tanti santi «della porta accanto», persone che ciascuno di noi ha potuto incontrare nella propria vita – ci rendiamo conto che è proprio così: chi ripone tutta la sua speranza in lui diventa partecipe di una linfa nuova che rende capaci di essere «sale della terra e luce del mondo» o, per dirla con Isaia, «riparatori di brecce e restauratori di case in rovina».

Il cristiano, chi ha fede in Lui, diventa cioè capace di una carità che lo rende protagonista e artefice di quel mondo nuovo che Gesù è venuto a portare.

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