Promuoviamo una cultura della vita

Editoriale«Vi dirò qualcosa di sconvolgente. Noi combattiamo l’aborto con l’adozione. Così salviamo migliaia di vite. Abbiamo sparso la voce nelle cliniche, negli ospedali, nei posti di polizia: “Non uccidete i bambini, di loro ci prenderemo cura noi”. A ogni ora del giorno e della notte le ragazze madri ci chiamano. A tutte diciamo: “Venga, penseremo a lei, prenderemo il suo bambino, gli daremo una casa, gli cercheremo una famiglia”. Non abbiamo bisogno di bombe né di fucili: solo se ci ameremo potremo portare la pace e la gioia e potremo vincere i mali del mondo».

È uno dei passaggi del discorso che santa Teresa di Calcutta fece il 10 dicembre 1979 nell’aula magna dell’Università di Oslo, in occasione della consegna del Premio Nobel per la pace.

Sono trascorsi quasi 38 anni è la prassi di evitare l’aborto continua a essere portata avanti in diverse forme.

Nei giorni scorsi a Cagliari il professor Giuseppe Noia, primario dell’Hospice perinatale del policlinico Gemelli e presidente dell’Associazione ginecologi ostetrici cattolici, ne ha parlato davanti alla platea dei giovani del Seminario regionale.

Un’esperienza che va nella direzione auspicata da Madre Teresa, la quale nel suo discorso a Oslo aveva detto, tra l’altro: «Il più grande distruttore della pace è l’aborto. Tante persone sono molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa, dove tanti ne muoiono di malnutrizione, di fame e così via, ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla».

La cultura dominante è marcatamente eugenetica, e, spesso, anche gli stessi cattolici fanno fatica a comprendere come la difesa della vita parta dal suo concepimento. Quanto raccontato dal professor Noia dimostra che la scienza ha fatto passi da gigante nell’alleviare i problemi dei bambini con diagnosi infausta. Purtroppo, nella nostra isola, domina ancora una cultura di soppressione della vita rispetto a  quella di accoglienza: è più facile togliere di mezzo il feto piuttosto che cercare di dare al nascituro un’opportunità di vita.

Nel giugno del 2013, all’udienza generale, Francesco aveva parlato della cultura dello scarto. «Questa — aveva detto il Papa — tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora — come il nascituro — o non serve più – come l’anziano».

È compito non solo del credente contrastare la deriva eugenetica: la difesa della vita, fin dal concepimento, è patrimonio di tutta l’umanità, non esclusivamente di chi si professa cristiano.

Nel discorso rivolto nel dicembre del 2013 all’Istituto «Dignitatis humanae», presieduto dal cardinale Renato Raffaele Martino e dal deputato Luca Volontè, Francesco disse tra l’altro «non sono pochi i non cristiani e i non credenti convinti che la persona umana debba essere sempre un fine e mai un mezzo».

L’esperienza raccontata dai coniugi Uda dimostra che un’alternativa all’eugenetica esiste ed è quella dell’accoglienza di una vita nascente.

Roberto Comparetti

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