Quando pregate dite: «Padre nostro che sei nei cieli…» XVII Domenica del Tempo Ordinario

Dal Vangelo secondo Luca

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati,

anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”».

Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”;

e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

(Lc 11,1-13)

Commento a cura di Fabrizio Fabrizi

Il Vangelo di Domenica scorsa (Gesù rende visita a Marta e Maria) ha invitato ciascuno di noi a coltivare l’atteggiamento interiore dell’ascolto, come apertura e decentramento verso una Parola non prodotta da noi, ma proveniente da un Tu trascendente: una Parola di salvezza che ci libera dai meccanismi di inautenticità nei quali le nostre esistenze personali possono trovarsi invischiate.

La lettura continua del Vangelo di Luca propone, nella Liturgia eucaristica di questa XVII Domenica del Tempo Ordinario, il celebre brano del Padre nostro.

Al che la nostra reazione istintiva potrebbe essere quella del «già sentito», dato che non soltanto conosciamo alla perfezione il Padre nostro ma lo recitiamo, con meccanica ripetizione, anche più di una volta al giorno! Non lasciamoci però distogliere dall’abitudine quasi automatica nel recitare il Padre nostro ma, invece, consentiamo a questo testo di manifestare i suoi significati profondi.

L’inizio del Vangelo – «Signore, insegnaci a pregare» – chiarisce che la preghiera non è un soliloquio che l’uomo compie tra sé e sé ma è un dialogo reale e personale con Dio, che Dio stesso inaugura e accompagna.

In altri termini, nella preghiera il credente si rivolge a Dio non come fosse un oggetto a sua disposizione, ma riconoscendolo quale Interlocutore personale che convoca a un dialogo libero e sincero con Sé.

Proprio le prime parole della preghiera («Padre nostro») chiarificano che il Dio nel quale crediamo non è una forza anonima e impersonale, ma un Tu Personale, qualificato come Padre che si rivolge a tutti gli esseri umani come suoi figli (Padre Nostro).

In un tempo nel quale la figura paterna sta perdendo nella società la sua autorevolezza, per scadere o nell’autoritarismo o nell’irrilevanza dell’assenza, è importante comprendere la funzione non solo umana ma anche religiosa della paternità.

La figura del padre non è riducibile né al semplice autore biologico del figlio né tantomeno a colui che ha un potere arbitrario e padronale sul figlio.

Invece, padre è colui che accompagna il figlio sulla via dell’autonomia e della responsabilità. In particolare, ciò che rende tale il padre è il suo comunicare con la vicinanza rassicurante e con la presenza valorizzante che colui di cui egli si prende cura è suo figlio.

Attraverso uno stile relazionale protettivo e valorizzante il padre consente al figlio di riconoscersi come tale, cioè di riconoscersi come «dono voluto» («Tu sei prezioso ai miei occhi», leggiamo in Is 43,4) e come capacità di iniziativa nel mondo. … «che sei nei cieli»…: l’altra funzione fondamentale del padre è quella di essere un’alterità che non si confonde con il figlio e che pone un limite al figlio, aiutando il figlio a riconoscersi e ad accettarsi come finito (non onnipotente!) e limitato, capace cioè di accogliere la realtà come distinta da lui e come non sottomessa alle sue voglie.

Dunque, il padre pone un confine al desiderio del figlio, in modo che il desiderio non venga lasciato a se stesso e travolga così l’esistenza del figlio.

Il Dio di Gesù Cristo non vuole che l’uomo evada dalla realtà, ma che possa riconoscerla e accoglierla come dono («dacci oggi il nostro pane quotidiano») da custodire, valorizzare e condividere con gli altri esseri umani.

….«perdona i nostri peccati»: Dio è Padre non soltanto facendo essere l’uomo quale figlio distinto da Lui e facendo dono al figlio del mondo –  da custodire e rispettare nella sua alterità –, ma lo è soprattutto perché agisce verso il figlio non la ferrea disciplina della punizione, ma la capacità del perdono, unica via al cambiamento autentico del figlio.

Infine, come intendere quel «non abbandonarci alla tentazione»?

Propongo una possibile parafrasi interpretativa: fa, o Signore, che nel momento della prova, soprattutto quella che non dipende da me, io non pensi che tu mi abbia abbandonato, ma possa continuare a credere che tu sei con me e mi vuoi bene.

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