Relazioni educative che sviluppano autonomia Parla Alessandro Ricci, docente di psicologia all'Università salesiana di Roma

Nell’educazione dei bambini e dei ragazzi, oggi più che mai, si registra la necessità da parte dei genitori, insegnanti, allenatori, animatori di gruppi, di approfondire modalità e linguaggi da utilizzare nel processo educativo.

Il professor Alessandro Ricci è docente di Psicologia all’Università Salesiana di Roma. È conosciuto in diocesi per la sua partecipazione come relatore a due convegni per i catechisti e a diversi incontri formativi organizzati nel territorio.

Come oggi i genitori possono svolgere al meglio il loro ruolo educativo?

L’etimologia della parola educare è “educere”, ossia «tirare fuori».

Uno dei compiti principali dei genitori, è quello di tirar fuori le cose che i ragazzi hanno dentro. Spesso invece si cerca di mettere dentro quello che si pensa sia meglio. Così facendo però non si sta educando.

Secondo aspetto importante l’accompagnamento. Stare accanto ai propri figli, aiutarli nella crescita, ma senza sostituirsi a loro. Un buon educatore è quello che sa accompagnare dando una direzione e un senso al percorso di crescita.

È necessario creare dei ragazzi sempre più autonomi e indipendenti. Anticipare troppo i bisogni dei figli infatti, non aiuta a renderli autonomi. È necessario creare relazioni educative che sviluppino l’autonomia dei bambini e ragazzi.

Spesso si sentono affermazioni come «Non esiste più l’educazione di un tempo», oppure «Prima i ragazzi venivano educati meglio». Sono dichiarazioni fondate?

La famiglia è la principale agenzia educativa per i bambini e i ragazzi, ma non è l’unica. C’è anche la parrocchia, la scuola, le associazioni sportive, oltre ad altre figure famigliari, come ad esempio i nonni.

La differenza tra l’educazione di un tempo e quella di oggi è che mentre un tempo, solitamente un bambino riceveva una serie di stili educativi convergenti, la mamma diceva le stesse cose del papà, la mamma è il papà dicevano le stesse cose dei nonni, che a loro volta dicevano le stesse cose del parroco o degli insegnanti, oggi un bambino vive una maggiore complessità. Spesso non è presente questa convergenza educativa. Ognuno dice cose diverse e alle volte addirittura in contrapposizione. Questo crea confusione.

Bisogna dunque costruire una rete di relazioni educative che convergano, affinché il bambino ritrovi uno stile univoco e non rimanga confuso.

Nell’era del digitale, quali competenze deve sviluppare un buon educatore?

È la prima volta nella storia dell’educazione che gli educatori sanno meno degli educandi. Oggi infatti i nativi digitali, nati e cresciuti con le nuove tecnologie, insegnano ai loro genitori come utilizzarli.

Questo «gap» generazionale, ha creato confusione. Molti genitori pensano di superare questo divario diventando esperti delle nuove tecnologie. Succede però che quando diventano molto pratici nell’utilizzo di un social network, i loro figli hanno già cambiato, utilizzandone uno diverso. Il rischio è che i genitori inseguano i loro figli. Bisogna invece tornare ad essere esperti di educazione.

Quando un bambino è educato alle regole, all’espressione delle emozioni, all’instaurare relazioni con gli altri, utilizza queste competenze educative anche nell’uso delle nuove tecnologie. Attenzione particolare poi alla precocizzazione nell’utilizzo degli strumenti tecnologici non adeguati alle età, che può risultare dannoso per i bambini molto piccoli.

Educare oggi dunque, diventa una vera sfida per ogni educatore.

Una sfida che non deve spaventare. Educare oggi, in un mondo in continuo e veloce cambiamento, è possibile. I genitori devono «sintonizzarsi» con i loro figli. Devono essere capaci di ascoltarli, di saperli osservare e dunque saper intervenire in modo autorevole.

Uno stile educativo autorevole si ha quando un adulto è in grado di dare regole, norme, sapendo ascoltare e saper dare affetto nel momento opportuno. L’autorevolezza non è solo fermezza, ma dare affetto e contenimento, a seconda delle situazioni.

Fabio Figus

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