A scuola di imprenditorialità con Wecoop L’economista Vittorio Pelligra parla del progetto portato a termine nei giorni scorsi e che ha coinvolto centinaia di alunni delle scuole dell’ Isola

wecoop 2Cosa è e come nasce Wecoop?

Wecoop è un gioco di società pensato e sviluppato in Sardegna in occasione dell’anno interazionale della cooperazione indetto dall’ONU nel 2012. Spinti dall’intuizione di Carlo Tedde, allora presidente del Consorzio di cooperative «Solidarietà» e con la collaborazione del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università di Cagliari, un gruppo di giovani economisti, matematici, pedagogisti e designer sardi ha creato un simulatore di impresa nel quale ogni giocatore deve cercare di sviluppare la sua impresa, in tutte le sue dimensioni, l’impatto ambientale, il rispetto dei lavoratori, la responsabilità sociale etc., ma anche di agire per il bene del territorio nel quale si opera. L’idea di base di questo gioco, che vuole essere una rappresentazione ludica ma accurata, di come il mercato e le imprese possono operare per promuovere il bene comune, è che, contrariamente a molti altri giochi simili, basti pensare al Monopoli, qui si può vincere solo se si vince insieme. Com’è possibile infatti considerare di successo un’impresa che opera in un territorio degradato, o che sfrutta in maniera predatoria l’ambiente o i suoi dipendenti o non rispetta i concorrenti non pagando le tasse?

Giocando si può sperimentare il funzionamento di principi importanti come quello di reciprocità, di fiducia, ci si può formare una reputazione, si può decidere di collaborare con gli altri giocatori a progetti comuni, scegliere di essere o meno in regola con il fisco. Si vivono tutte le situazioni che caratterizzano la vita di una impresa e si impara che cooperare produce frutti e opportunità maggiori di quelle che si otterrebbero dalla pura e semplice competizione.

Come è nato il progetto con le scuole?

Il progetto nasce da una presa d’atto: tra le ragioni connesse alle difficoltà economiche della nostra regione vi è senza dubbio la cronica carenza di spirito imprenditoriale dei nostri giovani, aggravata da un diffuso analfabetismo finanziario. Partendo da questo presupposto abbiamo pensato ad un progetto di formazione e di orientamento all’imprenditorialità civile da portare avanti, nell’ambito delle attività di alternanza scuola-lavoro, con gli studenti delle ultime classi delle scuole superiori. Abbiamo quindi iniziato a girare per le scuole della Sardegna incontrando in questi mesi più di cinquecento ragazzi. Con loro abbiamo dialogato sul modello di economia civile, gli abbiamo fatto incontrare degli imprenditori veri che hanno messo in comune la loro storia, abbiamo condotto una ricerca sulla propensione dei giovani all’imprenditorialità, ma soprattutto abbiamo giocato a Wecoop.

Lo scorso 18 maggio poi, c’è stato a Cagliari, l’evento finale del progetto dove abbiamo potuto raccontare il nostro percorso e presentare i risultati della ricerca. Abbiamo messo attorno a un tavolo esponenti del mondo dell’impresa, dell’Università, della scuola e della società civile per interrogarci insieme su quale modello di sviluppo vogliamo adottare per la nostra terra, su che investimento possiamo e dobbiamo fare sui nostri giovani e sulla sostenibilità di un capitalismo predatorio che per produrre ricchezza (non valore) tende a consumare le persone e l’ambiente. Ma soprattutto abbiamo potuto premiare Chiara, la vincitrice del primo torneo regionale di Wecoop, che ha sbaragliato con una partita strpitosa, l’agguerrita concorrenza dei rappresentati delle altre scuole.

Anche la Chiesa crede nelle forme aggregative di cooperazione. Quanto è importante formare alla condivisione?

La capacità di cooperare è una qualità distintiva dell’essere umano. Il vero motore dell’evoluzione, secondo alcuni. Il nuovo umanesimo che la Chiesa propone al mondo come orizzonte culturale, non può naturalmente prescindere da questo fatto. Una vera formazione alla condivisione, ma direi di più, alla comunione, è quindi una strada obbligata per formare uomini capaci di affrontare le sfide della modernità in maniera efficace e generativa. Questo discorso vale fuori, ma forse soprattutto, dentro la Chiesa che ne dovrebbe essere testimone credibile. Non a caso al centro del convegno ecclesiale di Firenze incentrato proprio sul nuovo umanesimo, è stato posto al centro il tema della sinodalità: la capacità, cioè, e la necessità di operare e vivere insieme con una «disposizione permanente, aperta e dinamica, nello spirito di comunione, collaborazione e corresponsabilità», per citare le parole di monsignor Nunzio Galantino.

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