Se il chicco caduto in terra muore, porta molto frutto V Domenica di Quaresima (Anno B)

se il chiccoDal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù».

Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome».

Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!».

La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire.

(Gv 12,20-33)

Commento a cura di Matteo Vinti

«L’unico rapporto etico che si può avere con la grandezza (così anche con Cristo) è la contemporaneità. Rapportarsi a un defunto è un rapporto estetico: la sua vita ha perduto il pungolo, non giudica la mia vita, mi permette di ammirarlo… e mi lascia anche vivere in tutt’altre categorie: non mi costringe a giudicare in senso definitivo». Così annotava Søren Kierkegaard nel suo «Diario». E in effetti è così: se Gesù Cristo non è vivo, se è solo l’oggetto di uno studio storico, un devoto ricordo, un modello da seguire, alla fin fine un hobby da collezionista, allora come può impregnare la vita fin nella sua profondità? Bisogna arrivare a un Gesù presente, credere e amare la sua presenza che cambia la vita. Ma come si arriva a vedere Gesù?

Questo problema se lo pongono nel Vangelo di oggi «alcuni greci». Greci, pagani, gente che non appartiene al popolo e alla cerchia di Israele. L’evangelista avrà avuto sicuramente in mente, mentre scriveva questo testo, le centinaia, forse le migliaia di greci che, nell’avventura missionaria della Chiesa, avevano creduto a Gesù e si erano fatti cristiani. Anche loro volevano «vedere Gesù». Avrà avuto in mente le migliaia, forse i milioni di pagani che «pur non avendo visto, crederanno». Avrà avuto in mente anche noi.

Com’è che questi greci sono arrivati a vedere Gesù? Com’è che noi arriviamo a vedere Gesù? Loro hanno cercato uno degli amici di Gesù. Filippo. Un apostolo con un nome greco, che tradotto significa «amico dei cavalli». Lo stesso nome del padre di Alessandro Magno. Insomma, un nome di cui fidarsi, uno che il greco lo conosce probabilmente bene. Chiediamo a lui di vedere Gesù.

Filippo si trova in una situazione imbarazzante. È uno degli amici di Gesù, sì, ma magari non proprio della cerchia di quelli più stretti stretti. Allora a sua volta va da Andrea, il fratello di Pietro, e insieme vanno da Gesù a riferirgli la strana situazione. Dei pagani lo vogliono conoscere. Della gente impura, che non fa parte del popolo eletto, di Israele. Però vogliono vedere Gesù: bisogna dirglielo.

Per Gesù è il segno finale, è il segno che finalmente è arrivata «l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato» morendo come il seme per dare molto frutto. Quell’ora che non era ancora arrivata alle nozze di Cana (Gv 2,4). L’ora definitiva, l’ora di morire per dar frutto, è arrivata, e Gesù lo capisce quando noi pagani arriviamo a chiedere di vederlo.

Per vedere Gesù, noi pagani dobbiamo cercare i suoi amici, di cerchia in cerchia. A partire da quelli che ci sono più prossimi, che sono più capaci di parlare la nostra lingua, per giungere a quelli che sono più vicini a lui, lo conoscono meglio, gli sono più familiari. Dobbiamo chiedere a quel lembo del suo mantello, a quell’angolo di comunità cristiana che ci sta accanto, per arrivare al cuore dell’esperienza della chiesa, che vive con Cristo una familiarità totale.

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