Vegliate dunque, perché non sapete… I domenica d’avvento (anno a) - 27 novembre 2016

commentoDal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.

Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

(Mt 24,37-44)


Da questo numero sarà suor Rita Lai, docente alla Pontificia facoltà teologica della Sardegna, a commentare il Vangelo della domenica. Il grazie a don Andrea Busia per il prezioso contributo dato fino allo scorso numero.

Commento a cura di Rita lai

Come dice il brano di Rm 13, 11-14: «è ormai tempo di svegliarvi dal sonno…La notte è avanzata, il giorno è vicino».

Il vangelo della I domenica d’Avvento pone stranamente all’inizio dell’anno liturgico i racconti della fine, quelli escatologici, che illuminano sulle vicende dei tempi ultimi, sul Regno che verrà. Questo genere di discorsi è ricco di immagini di distruzioni, di cataclismi, di terremoti: qui il diluvio provvede a ricordare agli uomini che il vecchio mondo si apre al nuovo, quello del Regno, instaurato da Cristo, ma fatica a lasciargli il posto. Qualcuno, anche tra le file della Chiesa, interpreta questi fatti straordinari, ancora vivi, purtroppo, ai nostri giorni, ma sempre della natura, come una punizione di Dio per i peccati dell’uomo: è una trappola vecchia come il mondo.

Nei testi evangelici della fine non c’è nulla di tutto questo: nel capitolo 24 di Matteo viene presentata una piccola «apocalisse», ossia una rivelazione di un evento altrimenti sconosciuto. La descrizione spettacolare e grandiosa, anche violenta, è solo un modo di raccontare in modo comprensibile a tutti una verità sempre nuova: il senso vero del nostro presente, di ciò che viviamo, illuminato dalla luce del Dio che viene. E qual è il messaggio che Gesù vuol far capire ai suoi? La venuta del Figlio avviene nell’ordinarietà di una vita che scorre secondo i ritmi quotidiani, senza fasi o gesti eclatanti («mangiavano, bevevano»). E si rischia di non accorgersi di nulla, di non essere consapevoli di ciò che avviene intorno a sé, finche il Figlio dell’uomo non arriva inaspettatamente.

C’è una incoscienza, una mancanza di consapevolezza che rende tutto piatto, uguale. Quante volte la vita scorre su di noi e non ce ne rendiamo neppure conto! Quante volte, presi dalle tante vicende che affollano il nostro quotidiano, dimentichiamo «chi siamo e dove andiamo». Non a caso il verbo vegliare propone al discepolo uno stato d’animo cosciente e vigile, stimola in lui una autocoscienza che lo rende bene attento a ciò che lo circonda e un occhio che sa guardare avanti, alla meta alla quale è chiamato. Anche per indicare l’evento che contribuirà a risvegliare gli animi, il testo usa in greco la parola corrispondente all’italiano «cataclisma»: evento forte che scuote quella quotidianità soporosa che ha tenuto il discepolo come addormentato. La venuta del Figlio dell’uomo sarà all’improvviso, senza alcun preavviso, e anche la scelta che essa opererà non sarà programmata: uno verrà portato via e l’altro lasciato. La venuta del Figlio allora aiuterà a operare una scelta che non può non essere collegata con la vita vissuta precedentemente. Il discepolo è esortato a stare col cuore pronto e disposto alla venuta, e, per fare questo, deve rivedere con coraggio tutta la sua vita presente, mettendola al vaglio. La venuta finale diviene così il segno più significativo, nel linguaggio dei segni liturgici, della venuta a cui l’avvento prepara: una venuta però che non è programmata per la fine del mondo, ma che di fatto avviene nell’oggi del discepolo, nel suo giorno quotidiano e feriale in cui a lui, e a nessun altro, è chiesto di stare pronto, ma solo per cogliere la visita di Dio non nello straordinario di segni cercati e richiesti, ma nell’ordinario delle piccole vicende della vita.

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