Una vergogna delle nostre società

EditorialeLa notizia è dei giorni scorsi. Una coppia di coniugi nigeriani è stata fermata a Cagliari per aver promosso, organizzato e finanziato il viaggio dalla Nigeria verso l’Italia di giovani donne che, dopo esser state sottoposte ad un rito «voodoo», erano state avviate alla prostituzione. Uno dei tanti episodi di cronaca che mettono in luce il triste fenomeno della tratta di ragazze o giovani donne, se non di bambine.

Nelle scorse settimane sono stati resi noti, dalla comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, dati decisamente preoccupanti: il numero delle minorenni che finiscono nel giro della prostituzione continua a crescere, e molte, delle nuove ragazze finite sulle strade, giungono nel nostro Paese anche attraverso i barconi.

Lo raccontano i responsabili della comunità di don Benzi. Dal loro osservatorio è emerso che sempre più adulti sfruttano la fragilità delle ragazzine. Il fondatore della comunità, don Oreste, attento agli ultimi lungo tutto il ministero sacerdotale, faceva partire la sua riflessione da un assunto economico. «Se non ci fosse la domanda — diceva continuamente — non ci sarebbe l’offerta. Se gli italiani non chiedessero prestazioni sessuali a pagamento, non ci sarebbe la tratta delle donne che vengono schiavizzate e forzate, da criminali singoli o associati, a dare le prestazioni richieste.

Questa ingente quantità di persone colpite dalla schiavitù, dalla disoccupazione, dalla fame, dalla guerra, sono le vittime di una società disumana, di una società in cui l’uomo è una “cosa” accanto alle altre».

Dal fenomeno non è immune anche la nostra regione, interessata di recente da fenomeni migratori, con alcune migliaia di persone sbarcate sull’Isola, una percentuale composta da minori non accompagnati.

Per questo il monitoraggio delle strade e dei centri abitati è continuo, anche da parte dell’unità di strada, come racconta la responsabile del servizio Caritas.

Un tema difficile e scottante, forse, sul quale però, come tutte le fragilità, la Chiesa è in primo piano nel venire incontro a chi è vittima di questa terribile realtà, più volte denunciata anche dal Papa.

Nel settembre 2015, ricevendo nella sala Clementina del palazzo apostolico in Vaticano i partecipanti al simposio internazionale sulla Pastorale della strada promosso dal Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti, il Pontefice aveva detto loro: «È preoccupante vedere in aumento il numero delle giovani ragazze e delle donne che vengono costrette a guadagnarsi da vivere sulla strada, vendendo il proprio corpo, sfruttate dalle organizzazioni criminali e a volte da parenti e familiari. Tale realtà è una vergogna delle nostre società che si vantano di essere moderne e di aver raggiunto alti livelli di cultura e di sviluppo».

Nell’agosto dello scorso anno, mentre quasi tutta Italia era in ferie al mare, Francesco si era recato, in un caldo pomeriggio, in visita a una struttura romana della comunità Papa Giovanni XXIII, dove aveva incontrato venti donne liberate dalla schiavitù del racket della prostituzione. Si era rivolto loro chiedendo perdono «per tutti quei cattolici e credenti che vi hanno sfruttato, abusato e violentato». Più volte nel corso del suo pontificato il Santo Padre ha definito la tratta come «un delitto contro l’umanità, una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo».

In quell’occasione il Papa, con la sua visita, aveva voluto restituire piena dignità a queste ragazze che avevano subito violenze, soprusi e intimidazioni dal racket della prostituzione, sottoposte a nuove forme di schiavitù.

Un mercato, quello della prostituzione, che purtroppo resta florido, proprio perché la domanda è forte: se ci sarà chi chiede determinate prestazioni chi le offre sarà sempre a disposizione. Occorre interrompere il circolo vizioso, riducendo la domanda, anche con provvedimenti ad hoc. Anche così si può dare la giusta dignità alle donne, oltre che con un mazzo di mimose.

Roberto Comparetti

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