Voi tutti che siete stanchi e oppressi, venite a me XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo Gesù disse:

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.

Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

(Mt 11, 25-30)

Commento a cura di Fabrizio Demelas

Gesù è impegnato nella predicazione di città in città. In un attimo di riflessione solitaria, si lascia andare a questa bella preghiera.

Il suo annuncio sta suscitando attese e reazioni diverse in Israele e lui stesso si meraviglia. Ma ringrazia il Padre perché il suo annuncio non è rivolto ai capi religiosi e politici, e nemmeno agli specialisti della dottrina; non è l’annuncio dell’arrivo di un messia liberatore dall’occupazione romana o di un liberatore escatologico che riporti Israele ai fasti del re Davide.

Il suo annuncio, invece, nel disegno del Padre, è destinato a coloro che sono «piccoli»: soltanto loro riescono a cogliere il messaggio di Gesù, perché soltanto loro cercano un senso per la vita, cercano misericordia e risposte per le contraddizioni dell’esistenza di ogni giorno.

È una novità, quella portata da Gesù. Una novità che irrompe nella storia del popolo di Dio per dire qualcosa che ancora non era stato rivelato, qualcosa in grado di riempire ogni vita umana di senso e di risposte autentiche. La novità è il volto di Dio: non un Dio severo e giudice, non un Dio presente ma esigente. Gesù rivela un altro volto di Dio: è il volto del Padre. Il Padre è ricco di misericordia, trabocca amore e attende che tutte le persone lo accolgano e divengano suoi figli, seguendo l’esempio e l’insegnamento di Gesù. È una novità assoluta in Israele.

Soltanto Gesù poteva rivelarla, perché Gesù è «il Figlio», colui che «conosce il Padre», che è legato a Lui da una relazione di intimità di amore profondissima. Gesù rivela l’amore del Padre agli uomini e introduce nell’amore del Padre tutti coloro che lo accoglieranno.

Riconoscere e accogliere Gesù ha questo grande esito: essere inseriti nella relazione con il Padre, una relazione impensabile prima di Gesù.

Per questo Gesù può proporsi come fonte di «ristoro» per tutti quelli che si sentono «stanchi e oppressi» da una vita difficile, al limite del non senso.

Il ristoro sta nello sperimentare in modo concreto e palpabile che la propria vita, grazie a Gesù, è inserita nella relazione con il Padre, relazione di veri figli con il proprio vero Padre. È facile! Basta imitare Gesù, basta accogliere nella vita la stessa relazione che lui ha con il Padre, «il mio giogo», la realtà di figlio, il legame che lo unisce al Padre. È un «giogo dolce», un «peso leggero».

Si tratta di imparare da lui, secondo il suo appello: «Imparate da me».

Da lui che, per primo, ha incarnato quella stupenda immagine di persona umana che aveva descritto all’inizio della sua predicazione, quando, dal monte delle Beatitudini, aveva descritto il modello di persona umana pensato e voluto dal Padre.

Quel modello richiede di essere «poveri in spirito», «miti» e altre qualità che Gesù possedeva tutte: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore», da me che sono l’autentico esempio. «Imparate»: l’appello arriva in conclusione della preghiera, di questa preghiera al Padre che, quasi per incanto, è diventata discorso a tutti coloro che lo accolgono. La penna di Matteo ha fatto questa magia: da una preghiera è scaturito un appello che riassume tutto l’insegnamento di Gesù.

Impariamo da lui. Gesù insiste. Forse immaginava che si potesse ascoltare, o leggere, le sue parole e non accorgersi di dover imparare, imparare fino a diventare come lui.

Forse immaginava che si potesse dire di incontrarlo, magari anche di cibarsi di lui, senza apprendere niente e senza lasciarsi cambiare. Impariamo da lui. Ne va del senso della vita, ne va della relazione con il Padre, da veri figli.

RIPRODUZIONE RISERVATA
© Copyright Il Portico