A Senorbì in tanti hanno pregato per i poveri.
Una comunità riunita in preghiera e in riflessione sulla povertà quella che ha partecipato, lo scorso 18 novembre nella parrocchia di santa Barbara a Senorbì, alla Veglia diocesana organizzata – in occasione della VIII Giornata mondiale dei poveri «La preghiera del povero sale fino a Dio» (cfr. Sir 21,5) – dalla Caritas diocesana, dalla Consulta diocesana degli organismi di carità socio-assistenziali e per la promozione umana e dalla stessa parrocchia.
Una Veglia molto partecipata, presieduta dall’arcivescovo, Giuseppe Baturi, affiancato, tra gli altri, dal vicario generale della diocesi, monsignor Ferdinando Caschili, dal direttore della Caritas diocesana, don Marco Lai, dal parroco don Giancarlo Dessì, da monsignor Luigi Melis, collaboratore nella parrocchia Beata Vergine Assunta in Arixi.
Il senso profondo della preghiera connessa alla speranza e alla carità al centro della riflessione dell’Arcivescovo: «Non dobbiamo far consistere il bene della vita nel possesso di qualcosa, perché altrimenti si diventa ricattabili, sempre presi dalla paura di perderlo. La libertà, l’usare il bene per i poveri, ha senso solo se diventa amore, sequela di Cristo risorto, vita piena».
E perciò è necessaria la preghiera, «espressione più autentica della speranza di ottenere ciò di cui abbiamo bisogno. Tutti – come dice il Papa – siamo poveri, bisognosi, tutti chiediamo. Per chiedere ci vogliono due cose: il bisogno e la speranza di essere ascoltati, esauditi. Siamo tutti “mendicanti” perché tutti bisognosi nel nostro rapporto con Dio. Tutti siamo poveri, chi non si sente tale non può essere persona di carità».
Durante la Veglia, le testimonianze di volontari, operatori e destinatari di alcune delle opere diocesane per i più fragili.
Come quella di Maria Cossu, referente del CdA per stranieri Kepos della Caritas, dove è arrivata, attraverso il Servizio civile, nel 2020: «Da lì è iniziato un cammino che si è riempito di esperienze e doni inestimabili, in cui ho intravisto la vocazione che avevo da sempre: prendermi cura degli altri. Ho continuato con il volontariato; poi quel dono che ricevevo ogni giorno nell’incontro con queste persone si è trasformato nel mio lavoro. Oggi non posso che vivere la gratitudine per il dono ricevuto: scoprirci capaci di amare molto più di quanto pensiamo».
Le voci di Gaston, destinatario del progetto «Corridoi universitari per rifugiati», di Vova, ucraino, che qui ha iniziato una nuova vita, lontano dalla guerra, di Maria Vitalia Mereu, di suo marito e di suo figlio, impegnati nell’Unitalsi, di Giuliana Piseddu, volontaria della Confraternita della Misericordia di Senorbì, di chi F. (pubblichiamo solo l’iniziale del nome per la privacy) che dopo dipendenze e solitudine grazie alla Chiesa ha trovato la serenità e una seconda famiglia.
Maria Chiara Cugusi.
A Senorbì in tanti hanno pregato per i poveri.
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