Siamo amministratori e non padroni della vita ricevuta Alcune riflessioni sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (Dat)

amministratoriAlcune riflessioni si impongono a margine della legge n. 219 del 22 dicembre 2017, recante «Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento», riflessioni che nascono dal credente, ma anche da chi ha a cuore il vero rispetto del valore e della dignità della persona e che intendono aiutare  una lettura critica del testo di legge e delle sue possibili applicazioni.

Una premessa: siamo creature, non ci siamo dati da noi la vita e non possiamo ritenerci padroni della vita ricevuta, ma solo amministratori di un bene di cui rendere conto. Considerare il nostro rapporto con la vita ci porta anche a guardare in faccia la realtà della morte, non voluta da Dio Creatore, così come la conosciamo, ma entrata nel mondo col suo strascico di sofferenza e di paure per opera del Maligno (Sap. 1,13-14 e 2,24). Tenere conto della realtà della morte ci porta subito ad escludere ogni forma di accanimento terapeutico, non importa quali ne siano le motivazioni. E d’altra parte il sapere che Dio è amante della vita e non della sofferenza e della morte ci porta a valorizzare le cure antidolorifiche, peraltro già previste per legge e da una corretta deontologia professionale e affidate alla scienza e coscienza del medico, nel rispetto della libera scelta del malato ed entro i limiti dell’essere noi amministratori e non padroni della vita.

Un punto delicato è quello relativo alla alimentazione e all’idratazione artificiale, che il testo del disegno di legge considera terapia, e dunque oggetto del possibile rifiuto da parte del paziente, mentre un’etica rispettosa della vita considera, in linea di principio, sostegno vitale ordinario e proporzionato. È subito chiaro che sospenderle per i primi significa interrompere un accanimento terapeutico, mentre per noi significa entrare nell’arco dell’eutanasia.

La Nuova Carta degli Operatori Sanitari, del febbraio 2017, afferma che «la nutrizione e l’idratazione, anche artificialmente somministrate, rientrano tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio». La loro sospensione non giustificata può avere il significato di un vero e proprio atto eutanasico. Pertanto la loro somministrazione «è obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente» (cfr. n. 152).

Tuttavia in casi particolari la nutrizione e l’idratazione cessano di essere obbligatori, per esempio se il paziente non fosse in grado di assimilare le sostanze somministrate o se le stesse modalità di somministrazione fossero causa di sofferenza sproporzionata per il paziente o implicassero una eccessiva gravosità per altri. Il di più e l’oltre sarebbe accanimento terapeutico.

E ora parliamo anche della vita futura e della Speranza che illumina la vita di chi si prepara alla pienezza della vita che Gesù morto e risorto ci ha aperto. In questo cammino  ogni momento della vita terrena rimane prezioso, fino all’ultimo, per crescere nell’Amore e per prepararsi al grande incontro.

Queste e altre considerazioni, di fronte ad un disegno di legge sbrigativamente propagandato come conquista per i diritti umani e sostenuto da motivazioni eterogenee, rendono comprensibile e doverosa la richiesta di lasciare un più chiaro spazio all’obiezione di coscienza.

Infatti nessun operatore sanitario può farsi tutore esecutivo di un diritto inesistente, anche quando la morte fosse richiesta in piena coscienza dal soggetto interessato. Pertanto, scrive Giovanni Paolo II, «uno Stato che legittimasse tale richiesta e ne autorizzasse la realizzazione, si troverebbe a legalizzare un caso di suicidio-omicidio …e tali legalizzazioni sono del tutto prive di autentica validità giuridica» (cfr. E.V. 72). «Simili legalizzazioni cessano di essere una vera legge civile, moralmente obbligante per la coscienza, sollevando piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante l’obiezione di coscienza» (cfr. E.V. 73).

Una scelta, questa, che i cristiani hanno rivendicato fin dalle origini (At 4,19 e 5,29) e che oggi siamo chiamati a vivere in  più occasioni, specialmente di fronte a chi sceglie di percorrere vie di morte, dalla soppressione della vita nascente alla mancata tutela della vita di chi lavora in condizioni pericolose fino alla cooperazione con la cultura della morte che colpisce intere popolazioni, con l’ingiustizia e la fame e con l’uso di armi sempre più terribili e capaci di sterminio.

 Arrigo Miglio-Vescovo

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