Aumento delle temperature, siccità. Boschi secchi e ingialliti. Anche se l’estate è arrivata al capolinea non sembrano terminare i problemi che, durante l’intera stagione, hanno accompagnato la Sardegna. «Stiamo attraversando un periodo siccitoso che si protrae da quasi due anni, associato a delle temperature anomale rilevate nelle ultime decadi, sempre in peggioramento a partire dagli anni’80». Queste le parole di Gianluigi Bacchetta, professore ordinario di Botanica sistematica all’Università degli Studi di Cagliari, sull’emergenza in corso. «Il 2023 – dice – è stato l’anno più caldo mai registrato e per il 2024 si prevede un’altra annata da record. Tutto risultato di ciò che l’uomo fa e che sta portando alle modificazioni climatiche». Il caldo è rimasto appiccicato all’Isola creando danni immediati, come il prosciugamento degli invasi, e significativi nel tempo. Fra questi ultimi la diffusione di un patogeno, la Phytophthora cinnamomi, fungo appartenente alla classe degli Oomiceti da sempre presente nei nostri territori. «La Phytophthora – sostiene il professore – non è qualcosa di nuovo. un parassita che attacca diverse piante, specialmente i fruttiferi, ma anche specie della macchia mediterranea, come le querce. Questi attacchi non hanno sempre avuto un impatto così rilevante come ad oggi. Venivano tenuti a bada quando i nostri boschi erano in buon stato di salute, adesso che sono soggetti a stress prolungati si verifica il problema ». «Un contesto simile – riflette l’esperto in Scienze naturali – lo si trovava durante la pandemia: se il Covid non aveva effetto sui giovani e le persone in salute comunque uccideva anziani e individui con patologie».
Situazione insostenibile da mesi, non da poche settimane. Tuttavia per Bacchetta è sbagliato parlare di fungo «killer». «I funghi – specifica entrano in contatto con gli apparati radicali e portano grandi benefici alle piante, mentre il clima è solo una conseguenza delle azioni umane. Dobbiamo quindi assumerci le nostre responsablità e pensare a ciò che abbiamo fatto in passato, continuiamo a fare e, non avendo contezza, continueremo a fare. La Sardegna orientale è una delle zone d’Italia più in difficoltà, in cui le anomalie persistono e i patogeni (virus, batteri, funghi) hanno gioco facile sulle foreste debilitate». Bisogna comunque entrare nel particolare per capire la gravità di ciò che sta accadendo. «Ci sono casi e casi. Piante come il leccio, la più comune in Sardegna, soffrono maggiormente – afferma Bacchetta – ed è possibile recuperarle solo in maniera parziale. Altre specie più resilienti, come la sughera e il corbezzolo, germogliano con più facilità e si riprendono velocemente. Il carrubo e l’olivastro invece sono difficili da danneggiare e non risultano compromesse ». Gli effetti si estendono in maniera critica anche su larga scala. «Le conseguenze su territorio e popolazione – prosegue il ricercatore – non sono direttamente legate a ciò che accade nei boschi ma alla crisi idrica che viviamo. Se continua a mancare l’acqua si arriverà inevitabilmente a delle restrizioni sul piano regionale. A livello nazionale e globale invece si stanno già manifestando fenomeni relativi all’errato utilizzo dell’acqua, che stanno portando a scenari più grandi, come la migrazione di popolazioni delle zone desertificate verso il Mediterraneo».
Sono coinvolti persino gli animali, in particolare quelli selvatici. «La siccità danneggia i boschi ma anche le sorgenti e i corsi d’acqua – allarma il professore – quasi prosciugati nelle porzioni orientali, causando problematiche alla fauna del posto, fra cui cervi, cinghiali e mufloni. A Monte Arcosu, con il WWF, abbiamo già da diversi mesi predisposto pozze di abbeveraggio per animali selvatici, da cui stiamo ricevendo un riscontro positivo. Un intervento tampone ma necessario». La luce in fondo al tunnel rimane però lontana e non così facile da raggiungere. «Combattere i patogeni sarebbe inutile – afferma Bacchetta su vaste superfici come quelle di Baronia, Ogliastra, Sarrabus-Gerrei e Sulcis, nella Sardegna orientale. Non ci sono soluzioni miracolose in grado di risolvere il problema in poco tempo. Anziché reagire in maniera proattiva, per prevenire, in Italia agiamo in maniera reattiva, cercando soluzioni facili, economiche e rapide. In questo caso è impossibile». «L’unica pezza la può mettere la natura – conclude – con piogge autunnali delicate e un inverno molto rigido, in modo che ci sia un decadimento significativo del fungo. Da un lato così avremmo una ripresa della vegetazione, grazie agli apporti idrici, dall’altro una morsa meno forte dei patogeni a favore dello sviluppo vegetativo».
LORENZO MUSU
Kalaritana – Avvenire di domenica 22 settembre 2024
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