Dopo il terremoto in Turchia e Siria è in azione la macchina degli aiuti
C’è bisogno della nostra solidarietà verso chi ha perso tutto.
Archiviata la settimana di narghilè sanremese, che, sotto l’egida del pensiero unico, pare abbia quasi bloccato l’intero Paese (circa due italiani su tre avrebbero seguito la kermesse), la realtà che quotidianamente ciascuno di noi vive è riapparsa come un incubo dal quale per alcuni giorni in molti si erano allontanati.
Nel frattempo ci sono state elezioni in Lombardia e Lazio, due regioni che assommano almeno un quinto degli italiani, i cui seggi sono stati puntualmente disertati, ma soprattutto si è aggiunta, alla nefasta guerra che si combatte nell’Est Europa, la catastrofe umanitaria del sisma in Turchia e Siria, in un’area nella quale risiedono 23 milioni di persone.
Le vittime si contano oramai a cinque cifre, con il rischio che si sfiorino anche quelle a sei cifre.
Prestare soccorso è un dovere, al di là delle posizioni in campo, in molti casi minato da decenni di guerra, da conflitti tra popoli vicini, foraggiati da chi vende e traffica armi e droga.
In questo scenario si muovono i soccorritori giunti nella penisola anatolica e nel nord della Siria, per trovare i dispersi e assistere i sopravvissuti, spesso minori, che hanno visto morire i propri cari, sotto il peso di costruzioni precarie, venute su a forza di speculazioni e condoni edilizi, concessi delle autarchie che governano quelle zone.
Al di là delle cause, che di certo verranno accertate, è ora il momento della solidarietà, pur in un tempo di grandi difficoltà per milioni di famiglie italiane, alle prese con rincari e inflazione, che stanno mettendo a dura prova tutti: giovani, anziani, bambini e famiglie.
Nonostante ciò la Chiesa chiede un supplemento di impegno, ciascuno nelle proprie possibilità, per donare anche poco, che sommato al poco dell’altro forma il tanto che può aiutare chi oggi non ha più nulla.
Per questo il prossimo 26 marzo ha Conferenza episcopale italiana ha indetto una colletta nazionale a sostegno delle popolazioni turche e siriane, colpite dal devastante sisma del 6 febbraio scorso.
Le voci che giungono dalla Siria sono drammatiche.
«Ad Aleppo regna lo sconforto – racconta all’agenzia Sir, Elia Kajmini, regista, autore teatrale. Ogni giorno che passa veniamo a sapere notizie di gente morta, ricoverata, traumatizzata, dispersa. Un elenco lungo di amici, conoscenti, parenti che si aggiorna drammaticamente».
«La popolazione – prosegue Elia – è sconfortata, frustrata, delusa. Il senso di abbandono pervade la gran parte degli aleppini. Non è bastato l’arrivo in città dei primi convogli di aiuti a ridare un po’ di speranza, nemmeno la visita di una delegazione dell’Oms».
Non diversa la situazione sul lato turco.
C’è bisogno della nostra solidarietà verso chi ha perso tutto.
«Abbiamo bisogno del vostro sostegno continuo, perché qui tutto è crollato, tutto è rovinato, tutte le infrastrutture sono venute giù – racconta padre Antuan Ilgit, vicario generale del Vicariato apostolico dell’Anatolia – le strade sono spaccate, la gente è senza casa. Più di 3mila bambini in Turchia sono senza genitori. Non so come riusciremo a riprendere la vita. Ce la potremo fare solo con l’aiuto di Dio e l’aiuto di tutti».
Le immagini che giungono dalla zona mostrano come a distanza di ore e di giorni siano stati ritrovati dei superstiti sotto cumuli di macerie: sono segni di speranza e mai come in questi casi occorre alimentare la speranza in chi ha perso tutto e tutti.
Per loro, per quanto possibile, occorre provare a sostenere lo sforzo che la Chiesa italiana sta portando avanti.
C’è bisogno della nostra solidarietà verso chi ha perso tutto.
Roberto Comparetti
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