A Cagliari il G7 sul lavoro. Al centro il tema dell’intelligenza artificiale, la valorizzazione delle competenze e le migrazioni
Gli indici quantitativi inerenti il lavoro e i tassi di occupazione crescono sul piano quantitativo. È una buona notizia.
Tuttavia, osservando la realtà troppo spesso si scopre un lavoro fragile e di scarsa qualità, che non fa sperare in un futuro migliore per tante persone.
Perché? Le ragioni vanno ricercate nel cambiamento del lavoro stesso. Fra 25 anni il 60% dei lavori che conosciamo oggi non ci sarà più.
E nel mentre nei territori più fragili si subiscono processi di deindustrializzazione, che «scartano » lavoratori non ricollocabili, i giovani si interrogano sul senso del lavoro e sul rapporto vita-lavoro non essendo più disponibili come i loro genitori a sacrificare tutto per il lavoro.
I giovani e anche i meno giovani emigrano alla ricerca di condizioni di lavoro migliori (si pensi a medici e infermieri, insegnanti e ingegneri ecc.), mentre i giovani per sostituire coloro che vanno in pensione non ci sono, semplicemente perché nelle nostre società opulente da decenni non si fanno più figli.
Ecco, mentre succede tutto questo si ha la sensazione che il mondo ricco col G7 sul lavoro di Cagliari si sia interrogato su temi importantissimi, ma non in modo sistemico, senza affrontare nel complesso le problematiche e senza riuscire ad immaginare un disegno complessivo di sviluppo.
Ben inteso: ogni volta che ci si confronta è positivo.
Tuttavia, se si pensa al primo tema di cui si è occupato il G7 sul Lavoro, l’intelligenza artificiale, sarebbe più corretto chiedersi se i lavoratori di oggi e di domani, non del prossimo decennio, hanno le competenze per utilizzare correttamente l’intelligenza artificiale.
A meno che non si vogliano creare comunità di consumatori, che attendono che l’intelligenza artificiale e i pochi che la sapranno controllare, producano beni e servizi per tutti.
Altro punto qualificante del G7 è l’approccio socialmente inclusivo che è necessario adottare.
L’auspicio è che si sia considerato il livello elevatissimo di povertà educativa che caratterizza in particolare le giovanigenerazioni. Oltre che di formazione professionale, con cui si migliorano le competenze, è fondamentale affrontare il fenomeno devastante della povertà educativa, investendo massicciamente sulla scuola e sull’educazione, con cui tirare fuori energie positive dai ragazzi e dai giovani adulti, altrimenti staremo sempre a chiederci quali politiche sociali di mantenimento dovremmo inventarci per fette crescenti della società.
Infine, pensare in modo sistemico alla società di domani significa considerare l’apertura a nuove generazioni di migranti.
I migranti sono già da includere nei processi educativi e da sostenere nei percorsi di inserimento lavorativo, soprattutto in alcuni comparti in cui gli italiani e gli europei non voglio più impegnarsi: non si tratta di creare nuovi servi o peggio schiavi, ma nuovi imprenditori, nuovi tecnici specializzati, che alimentino lo sviluppo sostenibile sul piano ambientale e sociale.
Per tutte queste ragioni serve un disegno in cui si immagini con generosità un futuro diverso, in cui sia decisamente maggiore il grado di coesione e di capitale sociale diffuso.
Il G7 dovrebbe avere la capacità di farci vedere in questo modo che mondo andiamo a costruire.
Gilberto Marras
Direttore Ufficio regionale di Pastorale sociale e lavoro
Kalaritana – Avvenire di domenica 15 settembre 2024
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