Il Trentino Alto Adige, il Veneto e la Lombardia sono le tre regioni che si affacciano sul lago di Garda. Si tratta di zone nelle quali gli abitanti hanno redditi pro-capite tra i più alti d’Italia e una qualità della vita migliore rispetto anche a regioni come la Sardegna.
Riguardo proprio la nostra Isola la zona intorno al lago del Nord Italia vanta un altro primato: una quota doppia di turisti in transito: a fronte dei nostri 12 milioni di vacanzieri in quelle tre regioni se ne registrano annualmente 24, il doppio.
Certo, potrebbe obiettare qualcuno, per arrivare nella zona del Garda non c’è di mezzo il mare come per la Sardegna, ma è possibile raggiungerla in treno o in auto.
Vero, ma in parte, perché quello dei trasporti non è l’unico dei problemi. Uno degli elementi chiave è la capacità di fare rete, di mettere in campo sinergie, che rendono il lago di Garda una delle mete turistiche europee tra le più gettonate.
Secondo una rilevazione demoscopica delle scorse settimane, la Sardegna resta una delle mete più desiderate ma più problematiche da raggiungere.
Solo in parte siamo capaci di soddisfare le richieste di una clientela sempre più esigente in termini di qualità dei servizi.
Se arrivare sulla nostra Isola via mare e via aerea ha eccessivi costi, nonostante il forte impegno delle Giunte susseguitesi negli ultimi quindici anni, il problema nasce anche quando i servizi interni latitano: basti pensare all’impossibilità di raggiungere le zone interne con i mezzi pubblici, in tempi certi e con costi ridotti.
Lo sottolineava Confartigianato qualche settimana fa, evidenziando la necessità di una maggiore efficienza del trasporto pubblico locale.
Il professor Giuseppe Puggioni, già docente di Scienze Politiche all’università di Cagliari, proprio da queste colonne, ricordava come gli investimenti pubblici nel settore turistico e nell’agroalimentare potrebbero essere la chiave di volta per invertire la rotta.
L’era della monocultura industriale è terminata, anche perché, come ricordano gli economisti, i «ghiaccioli si fanno al Polo Nord e le banane ai Tropici e non viceversa». Per cui in una regione non infrastrutturata adeguatamente è necessario avere costi energetici accettabili per poter impiantare industrie energivore.
In attesa di avere costi dell’energia capaci di far stare sul mercato le produzioni industriali isolane, è necessario investire in settori nei quali il ritorno può essere più immediato.
La nostra Isola possiede un patrimonio storico, ambientale, culturale e di tradizioni unico nel Mediterraneo, fatto di luoghi incantevoli che, se messi a sistema, possono diventare volano di sviluppo.
Due comuni si stanno indirizzando verso questa scelta.
Il primo è Pula che, come centro turistico, mantiene un reddito pro-capite dei residenti decisamente oltre la media, grazie alla vivacità delle aziende agroalimentari e turistiche, oltre al patrimonio di fede e di cultura che contraddistinguono la vita del paese.
Lo stesso tasso di criminalità è decisamente inferiore rispetto ad altre zone dell’Isola.
Il secondo è San Sperate, che proprio quest’anno celebra il mezzo secolo dalla dicitura di «Paese Museo», una scelta lungimirante che il compianto Pinuccio Sciola aveva caldeggiato e che nel corso dei decenni si è rivelata profetica.
Cultura, turismo, ambiente, fede e tradizioni sono elementi dai quali si può trarre reddito. Da qui bisogna ripartire per migliorare la condizione di quel 17 per cento di sardi che l‘Istat ha segnalato in povertà relativa, con una crescita del 3,3 per centro rispetto al 2016.
Quelle persone attendono un segnale.
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