Incertezza, ma anche voglia di difendere i propri diritti. Sono i sentimenti che riempiono la quotidianità di tanti lavoratori isolani, a partire da quelli del Sulcis. Continua a preoccupare soprattutto la situazione della Portovesme Srl, che a settembre scorso ha annunciato l’intenzione di chiudere la linea di produzione dello zinco. Una volontà che ha aggiunto preoccupazione e domande sul futuro dell’intero comparto industriale in Sardegna.
«Noi non condividiamo la decisione di cessare le produzioni tradizionali – afferma Fausto Durante, segretario della Cgil Sardegna – dopo lo stop sul piombo, l’azienda ha deciso, contravvenendo anche a impegni e ad assicurazioni del passato, di cessare le produzioni della linea zinco. Prevedere a tavolino un drastico ridimensionamento delle attività è inaccettabile – conclude Durante – dato che l’azienda non ha intenzione di tornare sui suoi passi, i lavoratori metteranno in campo iniziative per far cambiare idea
ai suoi vertici».
Tra le scelte prese durante l’ultima assemblea dei lavoratori, quella dell’interruzione degli straordinari e della reperibilità, oltre che una manifestazione che si terrà a Roma nelle prossime settimane. «Se la Glencore non torna indietro sulle proprie scelte saremo in forte difficoltà – chiarisce Francesca Ticca, segretaria generale della UIL Sardegna – Non solo per il sito industriale, ma per la tenuta sociale di tutto il territorio. Portovesme è un’industria che deve continuare ad esistere, siamo pronti anche a confrontarci sul tavolo ministeriale».
Il passo indietro della multinazionale svizzero-statunitense non può, secondo i sindacati, minare l’intero settore. «È necessario che la Sardegna risolva eventuali problemi esistenti, a partire da quello dell’energia – prosegue Ticca. La realtà industriale deve essere salvaguardata, con l’intento però che si creino anche alternative per il territorio. È chiaro – conclude la segretaria – che abbiamo necessità di una politica che capisca fino in fondo la priorità delle produzioni in Sardegna e l’utilità di attivare bonifiche che ci preparino ad investimenti industriali legati a una tecnologia più moderna».
Investimenti che sarebbero necessari a superare una situazione di impasse percepita su più fronti. «Quello sardo è un quadro che si differenzia tra le diverse zone – spiega il segretario regionale della Cisl Pier Luigi Ledda – Il tasso di disoccupazione è più alto della media italiana e la disoccupazione giovanile supera spesso il 30%. Se dovessimo fare un confronto tra il 2022 e il 2023 c’è un leggero miglioramento, dato dalla crescita dell’occupazione femminile e dalla decrescita dei contratti precari».
Il quadro che emerge conferma comunque i limiti strutturali dell’Isola. «In Sardegna, solo il 7% dei lavoratori è impiegato nell’industria. Ne risulta un comparto industriale debole – chiosa Ledda. Se riuscissimo a valorizzare al meglio i fondi disponibili potremmo dotarci di un sistema produttivo più capace di produrre lavoro di qualità. Dobbiamo lavorare per migliorare il sistema industriale manifatturiero, tecnologia e innovazione».
Matteo Cardia
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