Offriamo ai lettori una sintesi dei laboratori del recente convegno regionale di Pastorale famigliare.
Primo laboratorio: L’amore nel matrimonio.
L’amore che Dio prova per noi si riflette e traspare nell’amore della coppia, e nel modo in cui essa ama. Questo amore si manifesta nel servizio, nella capacità di essere lento all’ira, che va ad equilibrare una tendenza magari un po’ impulsiva del coniuge. I coniugi coltivano il loro amore nella preghiera comune, nel dialogo della parola e del corpo con gesti affettuosi, terminando la giornata cercando di riconciliarsi quando occorre e iniziarla progettando insieme. Questi atteggiamenti possono essere d’esempio per le coppie che incontriamo nel nostro cammino, che riteniamo abbiano bisogno prima di tutto di buon esempio e testimonianza. Questo stile fatto di gesti, di quotidianità e affidamento è vissuto anche dai consacrati e sacerdoti per coltivare il loro cammino nel progetto di amore del Signore e con le persone che incontrano.
In un tempo in cui la sessualità è gestita in maniera confusa, in particolare dai giovani, si è sottolineato che il Signore vuol bene a tutta la nostra persona, compresa la sessualità che è definita da Dio “cosa molto buona” fin dalla creazione. Il nostro modo di vivere la sessualità, che è principalmente espressione dell’essere donna o uomo, in coppia si misura nel capire come l’altro si sente più amato.
Secondo laboratorio: la pastorale familiare in parrocchia e in diocesi.
Tutti sono concordi sull’utilità di una pastorale di insieme e sulla difficoltà a poter vivere questo, vuoi perché in certi ambienti è ancora tutto da costruire o forse perché non è sentita come una priorità.
In concreto si è riflettuto sul fatto che la pastorale familiare non possa essere separata e vada integrata con le altre realtà pastorali quali la catechesi, i giovani, la salute. È possibile leggere tutto in un’ottica familiare. Sarebbe probabilmente utile che la parrocchia facesse pastorale familiare occupandosi dei percorsi prematrimoniali e dei gruppi famiglia, e gli uffici diocesani di pastorale familiare si dedicassero alla formazione degli operatori, promuovendo eventi di incontro per chi si sta formando o opera nell’accompagnamento delle giovani coppie, in modo da stimolare delle relazioni che collaborino in rete. Progettare insieme lavorando prima di tutto sulle difficoltà di comunicazione, che spesso sono il primo intoppo al positivo svolgersi di queste iniziative. Ci sembra importante anche pensare a percorsi che aiutino le famiglie che vivono il tempo della crisi, prima di tutto con una testimonianza di famiglia che vive un cammino di fede. Nella preparazione al matrimonio si ritengono essenziali gli aspetti di contenuto antropologico, teologico e liturgico. Una buona relazione con le coppie comunica un’esperienza di Chiesa che accoglie e incontra, specchio dell’incontro del Signore con la nostra umanità.
Terzo laboratorio: La relazione con i figli e con la famiglia d’origine.
Dal confronto è emerso che i figli sono affidati ai genitori, anche se spesso pensano di possederli e la prima caratteristica che li contraddistingue è quella di essere persone, di cui va rispettata la libertà.
Alcune delle mamme presenti al laboratorio hanno condiviso la loro difficoltà di portare avanti la gravidanza, ma anche la bellezza e il fatto che questo stato ha permesso loro di scoprire qualcosa in più dell’essere donna. Alcuni mariti hanno raccontato la gioia della collaborazione durante il tempo di attesa, e quanto questo abbia fatto crescere la coppia. Poi, sollecitati dalla domanda «quale concezione ha il mio coniuge del mio modo di essere genitore» ci si è potuto dire che l’uno è più forte, l’altro più arrendevole, l’uno più fermo e determinato, l’altro più accondiscendente, tutti però (seppur con stili genitoriali diversi), hanno concordato che le regole devono essere condivise da entrambi i genitori.
Per quanto riguarda la relazione con la famiglia di origine, è emersa la difficoltà, ma anche l’urgenza, di fare quel «taglio del cordone ombelicale», di mettere quei paletti che ci lasciano la libertà, pur senza dimenticare la famiglia di origine, di formarne una propria. A volte questa è una scelta difficile, che dispiace dover attuare, ma può essere un modo per rinnovarsi nell’essere figli. Infatti non si smette di esserlo, neanche nell’esercizio della genitorialità.
Daniela Marratzu
© Copyright Il Portico