Il nostro presente e il nostro futuro

EditorialeElisa quest’anno terminerà il liceo classico e descrive così il cammino che sta per concludere: «Mi dicono che già da giovanissima devo muovere i miei passi indirizzandoli alla ricerca di un lavoro sicuro, ma se non dedico questi anni allo studio delle mie radici come posso poi pensare di crescere? Perché è così, ogni singola pagina dei miei libri di testo rappresenta una pagina della mia vita. E se potessi, tornerei indietro ogni singolo giorno, scegliendo nuovamente questa strada, per poter leggere ognuna di queste pagine come se fosse la prima volta».

Le parole di Elisa danno voce alle storie di tanti altri ragazzi che condividono il suo stesso cammino liceale o si stanno preparando a farlo.

Si è da poco concluso il periodo delle iscrizioni scolastiche e i dati sulle scelte degli studenti fanno emergere proprio il primato dei licei, che hanno attratto il 54,6 per cento dei nuovi iscritti. Rimangono stabili le preferenze relative ai tecnici, con il 30,3 per cento, mentre c’è una flessione per i professionali, che coinvolgono il 15,1 per cento dei nuovi iscritti.

Il dato del liceo classico (6,6 per cento), in ripresa dopo il calo degli ultimi anni, insieme al risultato complessivo dei licei, tra i quali spicca lo scientifico (25,1 per cento), fa ritenere che l’istruzione liceale, senza escludere con ciò il valore di tecnici e professionali, venga considerata in grado di offrire solide basi culturali, lasciando così al tempo dell’università un percorso di studi più professionalizzante.

La preferenza per i percorsi liceali, maggiormente legati alla componente umanistica, può fornire inoltre degli spunti di riflessione anche in relazione al recente appello di un gruppo di seicento docenti universitari sull’ignoranza della lingua italiana tra i loro studenti.

Anche se solo in parte, i licei sembrano aver retto meglio all’indebolimento dell’educazione linguistica scolastica. Non va poi dimenticato il cosiddetto «analfabetismo funzionale», caratterizzante un numero crescente di persone che sono sotto un livello minimo di comprensione di un testo di media difficoltà.

La complessità della realtà contemporanea, con il suo flusso perenne di informazioni e sollecitazioni testuali e visive ─ basta avere uno smartphone tra le mani per sperimentarlo ─ esige nel campo dell’educazione scolastica di riuscire a «fermarsi», per restituire profondità di comprensione e capacità di analisi. Il recupero dell’attenzione alla dimensione umanistica fa riferimento, più o meno esplicitamente, a questa necessità.

La cultura umanistica non è affatto tramontata in un’epoca che appare dominata dalla tecnica, anzi, diventa ancora più urgente, perché pone in risalto le domande fondamentali dell’uomo, la sua essenza, i suoi desideri più profondi, e in questo modo aiuta il giovane in formazione a costruire dei criteri seri per leggere la sua storia personale e la realtà che lo circonda.

Non si tratta di un’esigenza solo teorica, la si può leggere nelle storie di tanti studenti.

Lo fa comprendere bene anche Chiara, una ragazza di vent’anni che ricorda così il suo liceo: «Non è mancata la fatica, ma nemmeno la soddisfazione. La sensazione di capire passo dopo passo che ciò che studiavo mi stava preparando alla vita. Quei famosi “Antichi”, che a volte mi hanno rubato qualche ora di sonno, mi hanno anche insegnato a pensare, a trovare con pazienza soluzioni ai miei problemi della quotidianità».

A questa domanda di vita dei ragazzi si rivolge la scuola. Ed è proprio sulla qualità dell’educazione che si giocano il nostro presente e futuro. Una scommessa che non si può perdere.

Roberto Piredda – Direttore dell’Ufficio diocesano per la Pastorale scolastica

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