Lo psichiatra Vittorino Andreoli in una recente intervista ha commentato i fatti di cronaca che stanno caratterizzando i nostri giorni.
«Sono stati consumati – ha affermato – se non distrutti alcuni principi che erano alla base della nostra civiltà, nata in Grecia a cui si aggiunge il cristianesimo. Non c’è più rispetto per l’altro». «Oggi – ha proseguito Andreoli – domina la cultura del nemico: la superficialità porta l’identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso. Questa è una regressione antropologica perché si va alle pulsioni. Perfino nelle istituzioni religiose qualche volta si affaccia il nemico».
«Se uno – specificava lo psichiatra – è diverso da te è un nemico e va combattuto. Si arriva alla legge del taglione. Si torna a fare la guerra perché il diverso è un nemico che porta via soldi, posti di lavoro… Questo è un Paese, ma anche l’Occidente, che sta regredendo alla pulsionalità, all’uomo pulsionale».
«Gli episodi che osserviamo – ha ricordato Andreoli – sono silenziosamente sostenuti da tante persone. Non dicono niente ma li approvano. Bisogna impedire che ci sia chi soffia sul fuoco. Nessuno parla del valore della conoscenza utile nell’avvicinare altre storie, altre culture. Tutto viene mostrato come negativo…».
A conferma delle tesi di Andreoli è emblematico l’episodio, consumatosi attraverso gli schermi televisivi, del quale è stata vittima la Chiesa italiana, i suoi vescovi e i suoi cardinali, oltre al quotiamo «Avvenire».
Nell’afosa serata dello scorso 4 luglio, su una rete privata nazionale sono state spacciate per verità delle autentiche falsità: dai presunti stipendi d’oro di prelati e porporati ai costi dei «Ministri vaticani», i responsabili dei dicasteri, il cui onorario è decisamente inferiore alle migliaia di euro, secondo quanto raccontato dai conduttori, venuti meno così a quella minima attenzione ai dati reali.
Nel calderone è finito anche «Avvenire», con il quale la diocesi di Cagliari, così come altre in Italia, edita, su base regionale, un inserto mensile di quattro pagine.
Secondo una delle giornaliste presenti in studio il quotidiano della Cei sarebbe realizzato da «ignoranti che non sanno quello che scrivono: mi vergogno per loro». Queste le parole testuali pronunciate.
Il livore delle false accuse e delle invettive lanciate rappresentano la spia che il quotidiano diretto da Marco Tarquinio sta facendo bene (i dati di diffusione stanno premiando «Avvenire»).
Chi non condivide i temi e linea editoriale di un giornale può tranquillamente evitare di comprarlo: una scelta libera che chiunque è in grado di fare.
Qualche dubbio sorge invece su chi usa la potenza mediatica di un canale privato nazionale per attaccare la Chiesa, i suoi ministri e i suoi organi di informazione.
Quanto poi alle agli epiteti lanciati su «Avvenire» potrebbero esserci i presupposti per un provvedimento interno alla categoria: la credibilità di una testata giornalistica e di chi vi lavora è stata lesa da parte di altri colleghi. Non sappiamo quale sarà il proseguo della vicenda: certo è che il livello di bassezza è tale da provocare un moto di ribellione verso chi denigra la Chiesa italiana e i suoi ministri.
L’amarezza arriva anche dalla complicità silenziosa di tante persone che, oltre ad avvallare le tesi esposte dagli schermi televisivi, le condividono sui social media: qualcosa non torna.
Occorre andare oltre la «cultura del nemico», rispettando le persone, il loro lavoro e le loro idee, se pur non condivisibili.
Roberto Comparetti
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