Questa immagine e l’iscrizione di chi sono? XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.

Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».

Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo».

Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».

Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

( Mt 22,15-21)

Commento a cura di Rita Lai

Se situiamo questa piccola pericope matteana nel suo contesto evangelico e liturgico, ossia nella lettura continua del Vangelo di Matteo e di queste ultime domeniche, l’interpretazione classica di essa, una netta divisione posta dalle parole di Gesù tra il potere di Dio e quello di Cesare, pare francamente riduttiva. O meglio, questa sfumatura è presente ma non è il tono dominante.

Seguiamo la narrazione, nel suo dispiegarsi troveremo il messaggio vero che questo vangelo ci vuol dare: essa parte da una presa di posizione dei maggiorenti di Israele che, stanchi del tono provocatorio delle parabole di Gesù, ordiscono una congiura per coglierlo in fallo e usare le sue stesse parole contro di lui.

L’obiettivo è chiaro: le parole di Gesù sono scomode, per questo lo vogliono eliminare.

Convocano un consiglio in cui organizzare una vera messa in scena per prenderlo con l’inganno (il verbo greco ha questa sfumatura) con la parola.

Se lo cogliessero in fallo, lui la cui parola fa presa sulla gente, lo distruggerebbero: questo il loro obiettivo.

La scena è pronta.

Istruiscono così i loro discepoli e con gli erodiani, loro complici, organizzano un discorsetto ben costruito: inizia con una captatio benevolentiae, una sviolinata al Maestro di Galilea.

Toccano corde care a Gesù: gli dicono che segue la verità e insegna la verità nella via di Dio.

Sono parole solenni, è un grande encomio.

Per giunta, aggiungono, egli non è uomo da farsi prendere dal desiderio di compiacere qualcuno: non ha riguardi per nessuno.

Notiamo la tattica: nelle loro parole false c’è l’inverso di ciò che essi stessi sono, bugiardi e ipocriti. E poi la domanda diretta: il tributo a Roma si deve pagare o no ?

Gesù però non si lasciar confondere, conosce la loro malvagità e li appella senza veli: «Ipocriti, perché mi tentate?».

Smascherati dal Maestro, non hanno molto spazio, e a questo punto, stranamente, Gesù chiede loro di mostrare loro la moneta. Perché?

Gesù vuole vedere cosa gli ipocriti gli stanno proponendo, ma il tutto gli serve soprattutto a smontare la trama da loro costruita.

Ristabilendo l’equilibrio tra Cesare e Dio, Gesù usa semplicemente un’immagine per dare una ennesima risposta che sconvolge le loro aspettative: nel momento in cui tentano di prenderlo in contropiede, Gesù spariglia le carte.

La questione non è se sia giusto o no dare il tributo a Cesare, ma ristabilire la giusta gerarchia dei valori.

Nessuna separazione, nessuna competizione, ma una risposta sapiente a chi cerca di manipolarlo e usare le sue parole.

Qui non basta spiegare il senso di queste parole, come detto all’inizio, separando quel che è dovuto a Dio e quel che è dovuto a Cesare. Certo, Gesù stesso con la sua vita e subito dopo le prime comunità cristiane, sul suo esempio, riuscirono a tenere un equilibrio notevole fra potere spirituale e potere temporale. Ma in un contesto in cui l’intento dichiarato è cogliere in fallo il Maestro, il vero senso va ben oltre.

Credo quindi che l’accento sia da porre su un forte richiamo ai sapienti del tempo di riacquistare una visione sapienziale, equilibrata della vita: una vita in cui la Parola e i gesti abbiano un giusto peso, e in cui il Verbo santo di Dio sia custodito con pace nei nostri cuori.

Il discepolo del Signore non ha nulla da temere dinanzi a qualsiasi congiura di questo mondo, se tiene viva e calda nel suo cuore la Parola santa che nessuno gli può portar via.

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