Sulle riforme occorre cercare il consenso di tutti i soggetti politici
Regole del gioco.
Nelle ultime settimane, in due dei più grandi Paesi del Vecchio Continente, Regno Unito e Francia, si sono svolte le elezioni, i cui risultati sono oramai noti.
Il prossimo novembre negli Stati Uniti si andrà alle urne per eleggere il presidente.
In tutti i casi l’avvicinamento alla scadenza elettorale viene vissuta in modo differente ma pur sempre segnata da contrasti e eccessi, culminati con il recente tentativo di assassinare uno dei contendenti alla Casa Bianca.
Ciò che però è rimasto immutato è il sistema con il quale gli elettori di questi Paesi si sono recati o si recheranno al voto.
Le regole scritte molto tempo fa sono sempre valide, al di là della maggioranza che guida quella nazione.
In altri contesti invece, nell’ultimo decennio, c’è chi ha pensato bene di adattare le regole ai propri desideri, in modo che la conferma al potere fosse scontata.
Ad esempio il referendum del 2017 in Turchia ha visto l’approvazione di 18 emendamenti alla Costituzione, che ha abolito l’ufficio di Primo ministro e il sistema parlamentare di governo è stato sostituito da un sistema di tipo presidenziale.
Al presidente sono stati quindi garantiti maggiori poteri sulla Corte costituzionale, sul Parlamento e sull’organo di autogoverno della magistratura turca. Il presidente Erdoğan, può nominare ministri e alti funzionari, sciogliere il Parlamento, dichiarare lo stato d’emergenza, emanare decreti e nominare 12 giudici su 15 della Corte costituzionale.
Tutto in mano ad un solo uomo.
Anche in Cina la riforma del presidente, Xi Jinping, permette di esercitare l’incarico a vita.
L’11 marzo 2018 è stato votato un emendamento alla Costituzione proposto da Xi, secondo il quale l’incarico del Presidente e del vice-Presidente, non sarà più limitato a due mandati, ma rieletto allo scadere del secondo mandato per un terzo mandato e oltre.
Un nuovo caso di riforma «ad personam».
A comporre il trio anche la Russia.
Con un referendum, nel 2020, è stata approvata una legge di revisione costituzionale che includeva cambiamenti radicali alla Costituzione e prevede, tra le altre cose, il permesso a Putin di ricandidarsi per altri mandati presidenziali di sei anni.
I tre casi mostrano il vero volto delle autocrazie, quale oramai sono Turchia, Cina e Russia.
Ma perché una riflessione sul tema delle riforme?
Perché nel nostro Paese è in fase di revisione una parte della Costituzione, come oramai accade da tre decenni.
Ogni governo che si è succeduto ha proposto, e in parte realizzato, modifiche sostanziali alla nostra Carta e al sistema di voto, in sostanza alle regole del gioco.
Non c’è maggioranza che non abbia voluto modifiche alla legge elettorale o a parti importanti della Carta fondamentale.
Per di più, quasi sempre, a colpi di maggioranza, come ha fatto l’allora Governo Renzi, che però ha visto naufragare il progetto.
Ora anche l’attuale maggioranza ci sta provando e, secondo molti costituzionalisti, il cambiamento proposto mette a rischio una figura di garanzia come quella del presidente della Repubblica e l’equità tra le diverse zone del Paese, con la cosiddetta «autonomia differenziata».
Gli stessi vescovi italiani hanno manifestato delusione perché le loro preoccupazioni non sono state tenute nella dovuta considerazione.
Se migliorare la Carta fondamentale è un opzione percorribile deve essere fatta in condivisione tra tutti i soggetti in campo: non vale l’opzione che il proprietario del pallone decida come giocare.
Roberto Comparetti
Regole del gioco.
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