Domenica trentotto comuni della Sardegna rinnovano le loro amministrazioni, compresi gli otto che ricadono nel territorio della diocesi di Cagliari: Assemini, Decimomannu, Donori, Furtei, Maracalagonis, Ortacesus, Senorbì e Villaspeciosa.
Solo ad Assemini è possibile che si vada al ballottaggio, mentre in altri cinque comuni dell’Isola sarà il commissario prefettizio a gestire l’ordinaria amministrazione, dato che non sono state presentate né liste né tanto meno candidati sindaci: ad Austis, Sarule e Ortueri, in provincia di Nuoro, a Magomadas nell’oristanese, e a Putifigari, nel sassarese.
Qui la democrazia è sospesa, i residenti non hanno avuto la capacità di fare sintesi delle diverse anime che compongono il tessuto sociale, in grado di dar vita a una o più liste, capaci di affrontare la competizione elettorale e dare così vita a un’amministrazione civica.
Le motivazioni sono diverse ma c’è da credere che molti oggi non ritengano più “sano” fare il sindaco, figura che troppo spesso, soprattutto in Sardegna, finisce per fare da parafulmine al grande disagio che interessa tante persone.
Molto frequentemente amministratori locali, sindaci, consiglieri e assessori finiscono nel mirino di dinamitardi, o magari nelle aule dei tribunali per inadempienze in materia di protezione civile o ambientale, dopo l’ennesima catastrofe dovuta ad eccezionali condizioni meteorologiche.
Lo ricorda il presidente dell’Anci, Emiliano Deiana, sindaco di Bortigiadas, che denuncia come oramai i sindaci vivano una sorta di solitudine, schiacciati da un lato da una mancanza di risorse materiale e di strumenti per dare risposte alle necessità della gente, dall’altra dal peso di adempimenti sempre più pressanti ma senza avere personale e risorse finanziarie adeguate.
Sul fronte della sicurezza un primo passo è rappresentato dall’accordo stipulato a Cagliari per otto comuni che beneficeranno del servizio di videosorveglianza: un deterrente contro i dinamitardi ma non basta.
In troppi episodi è emersa la difficoltà di scoprire gli autori dei reati, anche in piccoli centri, nei quali «qualsiasi foglia si muova non sfugge a nessuno».
Bisognerebbe iniziare ad abbattere i muri di un colpevole silenzio che troppo spesso si cela dietro gli episodi di cronaca. È necessario investire nella cultura della trasparenza e dell’onestà.
La vita democratica, che contraddistingue il nostro Paese da oltre 70 anni, sta cominciando a mostrare crepe: sempre meno persone si recano alle urne, lasciando dettare alle minoranze le regole e a decidere per tutti.
Anche nel caso dei sindaci: non possiamo lasciarli soli, anzi. Occorre star loro vicini, con uno stile che Francesco, nell’udienza concessa ai responsabili nazionale dell’Anci, ha definito di prossimità.
Un atteggiamento che anche i primi cittadini devono avere. «Occorre – ha detto il Papa – costruire comunità dove ciascuno si senta riconosciuto come persona e cittadino, titolare di doveri e diritti, nella logica indissolubile che lega l’interesse del singolo e il bene comune. Perché ciò che contribuisce al bene di tutti concorre anche al bene del singolo».
Per questo domenica chi è chiamato a recarsi alle urne è bene che lo faccia con convinzione e senza alcuna remora: occorre partecipare ed evitare di lasciar soli i nostri sindaci. Così si costruisce il bene comune.
Roberto Comparetti
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