Ragazzo, dico a te, alzati!

ragazzo alzatiDal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.

Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.

Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.

Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo».

Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

(Lc 7, 11-17)

Commento a cura di Michele antonio Corona

Il tempo ordinario riprende con la lettura semicontinua del vangelo di Luca e precisamente con un episodio presente solo nel terzo vangelo. Due cortei si incontrano fuori da un piccolissimo villaggio della Galilea. Il primo, capeggiato da Gesù, è festante e si muove chiassosamente per il vociare di discepoli e folla.

Nell’episodio che precede questo brano, il maestro di Nazareth ha guarito il servo di un centurione e indicato alla folla l’esempio di una fede grande. Come in ogni tempo, le guarigioni fanno scalpore e provocano entusiasmo negli astanti. Inoltre, questo genere di notizie corre velocemente sulla bocca di tutti, incentivando l’arrivo di nuovi curiosi. L’atteggiamento dei discepoli poteva presumibilmente essere quello delle guardie del corpo che proteggono il capo e allo stesso tempo tengono i contatti con coloro che vogliono conoscere il loro maestro. Pertanto, un corteo di vita che brulica si sta avvicinando a Nain. Dall’altra parte, una processione funebre esce dalla porta della città. Un giovane, figlio unico di una vedova, viene condotto alla tomba. La situazione descritta era non solo triste, ma disperata per la società del tempo. A livello economico il solo essere vedova comportava una grande indigenza. A livello sociale si viveva in una lacerante solitudine. A livello religioso ci si sentiva privati della vita. In questo caso la donna in questione è stata privata prima del marito e ora dell’unico figlio, con il conseguente annichilimento della discendenza. Così l’incontro dei due cortei non è casuale, ma è l’elemento caratterizzante dell’evangelizzazione: la vita incontra la morte, Gesù incontra l’uomo. In questa donna può essere vista l’intera umanità che rischia di essere accompagnata in un flusso di morte, di dolore, di rassegnazione, di pianto. Il Signore si commuove profondamente davanti all’uomo/donna e lo risolleva. La prima parola di Gesù non è diretta al ragazzo o a coloro che lo conducono alla tomba, ma alla madre: «Non piangere». Sembra quasi il monito e l’annuncio per un nuovo ordine di cose: ormai la vita si è fatta vicina alla morte e ne cambia il corso degli eventi. La prostrazione vissuta dalla donna e dall’insieme dei suoi accompagnatori viene capovolta in favore della glorificazione di Dio. Gesù non teme di compiere un gesto inusuale per le convenzioni religiose e sociali: toccare la bara. Entrare in contatto con tutto ciò che concerne la sfera del morto significava diventare impuri e farsi, in qualche modo, coinvolgere dalla stessa morte. Il Messia invece porterà a compimento il movimento contrario, vale a dire che è la vita a «contagiare» la morte e non viceversa. Non si può prescindere dal farsi interrogare dalla grande obiezione di chi afferma che comunque il ragazzetto risuscitato – come gli altri a cui Gesù ridona la vita – dovette passare nuovamente per il dramma della morte. Effettivamente, nessuna delle persone risuscitate da Gesù è ancora in vita. Forse ci è utile riflettere sul fatto che la morte non è opposta alla vita in quanto tale, ma alla nascita. Il momento finale chiude ciò che si era aperto all’inizio con il nascere. Perciò, per quanto doloroso possa essere, la morte fa parte del ciclo vitale proprio come la nascita. La risurrezione del ragazzo – che prepara alla risurrezione stessa di Gesù – mostra come la morte non è l’ultima parola sulla vita, ma lo è, al massimo, sul ciclo iniziato col parto.

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