Combattere la terribile piaga della tratta di giovani donne, rese schiave da ignobili personaggi che fanno business lucrando sulla disperazione, sulla scarsa cultura o sulle credenze religiose. Un dramma che riguarda l’Italia e la nostra Isola, sulle cui coste sbarcano sempre più imbarcazioni cariche di migranti.
Tra loro tante ragazze, spesso minorenni, molte delle quali con il destino segnato già prima della partenza: il marciapiede, con i proventi della prostituzione che i criminali che gestiscono come un business e che reinvestono in droga o armi.
La Caritas diocesana di Cagliari è da anni impegnata sul campo grazie allo Sportello e all’Unità di strada anti-tratta, coordinati da Simona Murtas, psicologa e responsabile dei due servizi. «Lo sportello — spiega Murtas — è attivo da tre anni, mentre l’8 marzo l’Unità di strada ha festeggiato un anno di attività. La prima relazione con le ragazze si ha in strada, grazie al nostro camper e ai sette membri dell’équipe: oltre a me ci sono una mediatrice culturale nigeriana, un operatore di sesso maschile e una suora. L’approccio è familiare: si offre qualcosa da bere e da mangiare alle ragazze e si parla con loro. In strada, però, non si parla mai di “fuoriuscita” dalla prostituzione: spieghiamo chi siamo, la nostra radice cattolica (che le rassicura) e che ci possono contattare se hanno bisogno di un aiuto di tipo legale o medico».
Un’attività molto delicata ma che porta frutto. «Il nostro obiettivo — prosegue Simona — è farle arrivare allo sportello anche se, quando ci chiamano, è difficile convincerle a uscire dal giro. In ufficio ascoltiamo la ragazza, cercando di capire di cosa abbia bisogno, oppure arriva una vera richiesta d’aiuto. Lo scorso anno abbiamo avuto diversi casi simili: si valuta l’emergenza del momento, secondo la gravità della situazione. In caso di intervento (con attivazione del protocollo previsto dall’art. 18 del D.lgs. 286/98) si deve trovare una struttura adatta a ospitare la ragazza, dopo la valutazione dell’equipe se la stessa sia in grado di entrarci, in base alla ricostruzione della sua storia per capire gli indicatori di un eventuale sfruttamento».
Assai difficile da contrastare è poi il fenomeno della tratta di minori: «Nel tempo — spiega ancora la responsabile — sono cambiate tante cose, anche a causa dei ripetuti flussi dei richiedenti asilo. Capita, specie con le ragazze nigeriane, che siano istruite dalle “madame” già prima del viaggio. “Devi raccontare questa storia, devi richiedere asilo” e cose simili tanto che, dopo la prima identificazione e l’invio al Centro di accoglienza straordinaria, spesso è quello il posto dove gli sfruttatori reclutano le ragazze».
Individuare le minorenni è semplice, lo è meno tirarle fuori dalla strada. «Le riconosci allo sbarco — continua Simona Murtas — e poi in strada, dove la “madame” è per loro un punto di riferimento e perciò fanno fatica a riconoscere in lei il carnefice, nonostante subdole forme di assoggettamento. Il tema della minore età è delicato, perché può emergere allo sbarco (quindi con invio immediato in struttura) ma, in mancanza di un metodo di accertamento dell’età meno obsoleto dell’attuale, è facile per gli sfruttatori averla vinta. In strada quando sono protette dalle altre per noi è più complicato avvicinarle, sono più timide e riservate».
A complicare ulteriormente la situazione, poi, l’assenza in Sardegna di strutture ad hoc per le minori vittime di tratta, presenti in altre regioni italiane. «Da noi — conclude la psicologa — esistono realtà (come le Figlie della Carità o la comunità Giovanni XXIII) che svolgono un’opera meritoria, ma non hanno strutture specifiche per questa categoria. Credo sia arrivato il momento di seguire questa buona prassi anche qui, soprattutto alla luce dei flussi di richiedenti asilo sempre più frequenti».
Francesco Aresu
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