Nei giorni scorsi sono terminate le prove scritte degli esami di maturità. Per gli studenti inizia ora il tempo della verifica orale sulle competenze acquisite tra i banchi di scuola.
Pochi giorni prima dall’avvio degli esami sono stati resi noti i dati relativi alle bocciature e alle mancate ammissioni alla maturità. Non c’è da stare allegri: il 13 per cento degli studenti sardi dovrà ripetere l’anno, un dato tra i più alti in Italia.
Ma non è l’unico a contraddistinguere la nostra Isola: abbiamo la percentuale dimezzata di laureati rispetto al resto d’Europa mentre la dispersione scolastica fatica a essere riportata a livelli accettabili.
La Regione, dal canto suo, ha finora messo in campo diversi interventi: la Giunta ha dato il via libera al nuovo Piano triennale di interventi nell’ambito di «Iscol@» per le scuole del nuovo millennio e la messa in sicurezza, manutenzione e rinnovamento di arredi ed attrezzature.
Con il piano «Tutti a Iscol@», prorogato con l’intesa dello scorso aprile, si realizzerà invece l’introduzione di docenti aggiuntivi che supportino gli alunni nel recupero delle lacune e nel miglioramento dei risultati scolastici, riducendo il tasso di abbandono. Si tratta di misure che stentano però a dare una svolta.
Il professor Vittorio Pelligra, economista all’Università di Cagliari, lo suggerisce nell’intervista che ci ha rilasciato, evidenziando come solo con un forte cambiamento nei percorsi formativi, capace di produrre «capitale umano» più efficiente, sarà possibile far uscire la Sardegna dalle secche nelle quali si è arenata.
Ciò che però stupisce è che questi temi non sembrano interessare il dibattito pubblico.
La priorità è data ad altro, a quanto provoca maggior «prurito» nella pubblica opinione, scelta che non aiuta a risolvere le criticità croniche del nostro Paese, come appunto il gap tra Nord e Sud anche in campo scolastico-formativo.
Le zone depresse del Meridione hanno necessità di interventi mirati e forti, specie nella formazione, vero motore di sviluppo di un territorio. Non investire in produzione di «capitale umano» significa impedire la creazione delle condizioni per invertire la rotta del mancato sviluppo, specie nei territori a sud del Tevere.
Lo sottolinea bene Federica Cornali, ricercatrice dell’Università di Torino che al tema sta dedicando una buona parte delle sue ultime pubblicazioni, dalle quali emerge come, una delle chiavi di volta per invertire la rotta nel Sud Italia, sia l’investimento in formazione.
Nel libro «Quaderni di sociologia», scritto a quattro mani con Giancarlo Gasperoni, la Cornali, sottolinea la necessità di riportare la scuola al centro di un dibattito che non si riduca ad uno sterile esercizio retorico.
Il problema sta proprio qui: in questi ultimi decenni numerose sono state le riforme del sistema formativo, ma non hanno prodotto risultati capaci di invertire la rotta. Anzi sulla scuola si è consumata una continua lotta ideologica che ha mancato l’unico obiettivo: la preparazione degli studenti.
I dati Istat hanno certificato come ci sia molto da fare per recuperare terreno. Ne va del futuro dei nostri giovani, sempre meno preparati, e quindi con meno strumenti in mano per trovare collocazione in un mercato del lavoro che, da tempo, ha messo da parte la concezione ottocentesca della catena di montaggio, per indirizzarsi alla premialità delle competenze: una prassi diffusa nel resto del mondo ma che stenta a trovare casa nel nostro Paese.
La storia ha dimostrato che in tempi di crisi gli investimenti in capitale umano diventano massa critica per uscire dal guado.
Roberto Comparetti
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