Papa Francesco nel consueto messaggio per l’annuale Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali ci propone di riflettere sul rapporto che intercorre tra le «social network communities» e la «comunità umana».
Non si tratta dell’ormai superato tormentone che vede contrapporre «reale» e «virtuale», o «on line» e «off line».
Infatti l’uso dei social media non è più da ritenersi qualcosa di etereo e inconsistente, è anzi il nuovo spazio di relazione e di azione nel quale interagiscono miliardi di persone.
Non consideriamoli semplicemente «mezzi di comunicazione» ma una vera e propria «modalità di essere e agire» nel mondo odierno.
Questo vale per i più giovani quanto per coloro che si sono trovati a vivere queste occasioni mediali in età adulta.
Si tratta di un mondo comunicativo sempre in evoluzione. Se si pensa che per i ragazzi tra i 15 e i 24 anni lo stesso Facebook risulta ormai superato, infatti prediligono altre piattaforme come Snapchat e Instagram.
E come non constatare che spesso, soprattutto nell’uso del social creato da Mark Zuckerberg, gli adulti sono più infantili dei più giovani e meno propensi a comprendere che in questi media si è “reali” quanto e forse più di quando ci si relaziona con le persone attraverso la diretta mediazione fisica.
In questo contesto non ci stupisce l’invito del Papa «a investire sulle relazioni, ad affermare anche nella rete e attraverso la rete il carattere interpersonale della nostra umanità».
E il Pontefice sottolinea come, anche nella comunicazione attraverso le reti sociali, «noi cristiani siamo chiamati a manifestare quella comunione che segna la nostra identità di credenti».
Dunque non può esserci nemmeno distanza tra le «media communities» e la comunità cristiana.
Francesco fa una diagnosi puntuale dei “disturbi” che emergono nelle relazioni «in rete», soprattutto quando questi spazi comunicativi «si prestano anche ad un uso manipolatorio dei dati personali, finalizzato a ottenere vantaggi sul piano politico o economico, senza il dovuto rispetto della persona e dei suoi diritti.
Tra i più giovani le statistiche rivelano che un ragazzo su quattro è coinvolto in episodi di cyberbullismo».
Da buon formatore papa Francesco ci invita a passare dalla diagnosi alla terapia: «aprendo la strada al dialogo, all’incontro, al sorriso, alla carezza… Questa è la rete che vogliamo. Una rete non fatta per intrappolare, ma per liberare, per custodire una comunione di persone libere. La Chiesa stessa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui “like”, ma sulla verità, sull’“amen”, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri».
Ecco quindi la sfida educativa e pastorale che è posta dinnanzi alla comunità ecclesiale. E perché non iniziare ad accoglierla a partire almeno da due ambiti?
Un primo campo potrebbe essere quello delle parrocchie.
Varrebbe la pena di fare crescere l’impegno nel creare occasioni di formazione che aiutino a pensare e a ricostruire percorsi, a favorire senso di appartenenza e di adesione alla comunità, nella valorizzazione della multicanalità comunicativa di cui oggi agevolmente possiamo usufruire.
Un secondo ambito, necessitato dal primo, è la promozione di un «intervento educativo» a favore dei sacerdoti e di coloro che, oggi ancora in formazione, saranno le guide delle comunità cristiane nei tempi futuri.
Forse così si assisterebbe a un minor numero di cadute di stile comunicativo e a un più maturo ed efficace approccio nell’uso personale e pastorale dei social media.
Giulio Madeddu – Direttore Ufficio diocesano Comunicazioni sociali
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