I Saveriani parlano del loro rapporto con Luca Attanasio ucciso a Goma
«Attanasio era per noi come un fratello».
Così padre Franco Bordignon, missionario saveriano, padovano, dal 1972 nella Repubblica democratica del Congo, parla dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, ucciso in un agguato, nei pressi di Goma, nel quale sono morti anche il carabiniere Vittorio Iacovacci, e l’autista, Mustafa Milambo.
Lo racconta all’agenzia «Dire» dalla missione di Bukavu, capoluogo del Sud Kivu.
Attanasio, nominato ambasciatore in Congo nel 2017, «era già stato quattro volte a trovarci – racconta il saveriano – e l’anno scorso era venuto anche con la moglie e le sue tre figlie piccole». Un legame forte, quindi, al punto che che la missione «era casa sua».
«Sembrava prediligere fra tutti il mondo dei missionari – ricorda ancora padre Bordignon – e per questa ragione aveva lanciato l’idea di raccogliere le memorie dei tanti sacerdoti e laici che hanno contribuito allo sviluppo del Congo con l’obiettivo di costruire un’antologia che fungesse da memoria del nostro lavoro nel Paese».
Un’ulteriore conferma arriva anche da padre Giovanni Querzani. «Per noi – scrive il religioso – (Luca n.d.r.) era veramente una persona meravigliosa, molto sensibile e molto impegnata, che apprezzavamo tantissimo».
«Sabato 20 febbraio – dettaglia il religioso – era arrivato nel tardo pomeriggio nella nostra Casa Regionale, dove era programmato un incontro con gli italiani residenti a Bukavu, quasi tutti missionari.
È stato un bell’incontro, molto cordiale e interessante, nel quale, come al solito, era emersa la sua attitudine di “vicinanza” per tutti noi, e la sua grande sensibilità umana.
Ha cenato e trascorso la notte qui in casa nostra, dove si sentiva totalmente a suo agio e domenica mattina, prima di proseguire il suo viaggio per Goma, ha partecipato alla Messa nella nostra cappella».
La vicenda, ancora tutta da chiarire, ha aperto gli occhi a molti italiani circa le condizioni di violenza e precarietà che segnano l’Africa e le popolazioni che vivono in quel continente.
Lo ha ricordato l’arcivescovo di Kinshasa, il cardinale Fridolin Ambongo Besungo. «Il mondo – ha detto a “Tg 2000” – non può più tacere di fronte a queste tragedie umane».
Secondo padre Franco Bordignon la zona dove è avvenuta l’imboscata si trova lungo una trafficata strada nazionale, ritenuta sicura dalla missione dell’Onu nel Paese, al punto che per passarci non viene fornita una scorta, come è accaduto all’ambasciatore Attanasio.
Eppure alcuni responsabili di Ong da tempo segnalano la pericolosità di quella strada, dove agiscono indisturbati banditi e fazioni dedite a furti e rapimenti.
Anche i missionari denunciano da anni le violenze e i soprusi perpetuati in Africa, specie in alcune zone, dove traffici illeciti vanno avanti anche con la complicità delle autorità.
Molti media italiani hanno scoperto che esiste un Continente problematico, sistematicamente depredato dalle multinazionali, dove i conflitti vengono creati ad arte per motivi legati al profitto: tutte cose che i missionari denunciano da tempo, senza però ricevere quella attenzione mediatica che aiuterebbe a conoscere, capire e a cercare soluzioni ad oltre due secoli di sfruttamento dell’Occidente in Africa.
Quanto poi alle polemiche sulla sicurezza dell’ambasciatore e delle altre persone, sarebbe il caso di tacere: non aiutano a riportare in vita chi è morto e non risolvono i problemi, decisamente molto più seri degli strali da social media.
Roberto Comparetti
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