«Fammi giustizia contro il mio avversario». Ma egli non volle XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:

«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.

Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».

E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

( Lc 18, 1-8)

Commento a cura di Emanuele Meconcelli

Forse anche a te la lettura di questo testo provoca una reazione di perplessità, di sfiducia, se non di frustrazione. Perché alla fine la vedova ottiene quello che vuole, il giudice per quanto disonesto cede e la accontenta.

Invece capita spesso che tu preghi e lassù sembra che nessuno ti ascolti. Per questo pregare diventa una formalità devota, una pia pratica sostentata dalla volontà e dall’impegno, ma svuotata di passione.

Finisci di leggere questo Vangelo è l’accusato sembra essere Dio. Che esito paradossale: in realtà il testo ci parla di un avversario e ci parla di una vedova che ha capito quanto è minaccioso questo avversario ed è per questo che chiede aiuto.

Il problema principale non è tanto se Dio ascolta o non ascolta le tue preghiere, perché su questo Gesù è chiaro, esplicito, non lascia spazio a dubbio alcuno: e Dio non farà giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?

Il problema vero è: ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede?

Non dimentichiamoci i vangeli delle domeniche precedenti, in cui è stato messo in scena un campionario di cosa non è la fede, salvo scoprire nell’episodio di domenica scorsa che la lebbra è un titolo di credito sufficiente per entrare in relazione con Dio, per poter chiedere.

Come quei lebbrosi, la vedova inopportuna è consapevole che contando sulle sole sue forze non ce la può fare.

Quando la scrittura fa riferimento alla figura della vedova sta parlando di una donna che ha perso ogni appoggio, è rimasta senza sostegno alcuno, al punto che nel mondo ebraico le vedove erano all’ultimo posto della scala sociale, non godevano di nessun aiuto e generalmente finivano per mendicare.

Invece oggi assistiamo in continuazione allo spettacolo opposto: il modello di individuo riuscito è quello di chi si è fatto da sé.

C’era uno slogan pubblicitario che parlava dell’uomo “che non deve chiedere mai” e anche a te, francamente, ti secca da morire quando devi chiedere aiuto a qualcuno, riconoscendo la tua piccolezza.

Oggi la priorità è essere vincenti, autonomi, indipendenti, non chiedere niente a nessuno, stare in piedi con le proprie gambe.

Anche tu vorresti combattere i tuoi nemici da solo. Ed è per questo che le tue preghiere non vengono ascoltate.

Anche tu vorresti vivere un rapporto con Dio in cui il tuo impegno, la tua buona volontà, il tuo zelo, la tua irreprensibilità ti permettono di guadagnare il premio: la salvezza fai da te. Ed è per questo che le tue preghiere non vengono ascoltate. Perché al centro di esse ci sei solo tu, ci sei sempre tu e la vita così come la capisci tu.

Ma il problema è proprio questo: preghi davvero solo se riconosci che quella vedova sei tu. Perché ti è morto il marito su cui facevi affidamento.

C’è una persona che è rimasta vedova dei suoi progetti, delle sue ambizioni, delle sue sicurezze, della sua idea di se stesso, c’è chi è rimasta vedova della sua idea di matrimonio, di famiglia, di amicizia, di serenità, di appagamento? La vedova prega e lo fa perché ormai è disillusa, perché conosce la sua fragilità e perché ha capito che c’è un avversario temibile contro cui non può prevalere.

Avere fede non significa che in Dio ci credi e basta, ma che impari ad appoggiarti su di lui, facendo della tua precarietà e della tua vedovanza il luogo in cui chiedere giustizia.

È più facile rassegnarsi, accontentarsi, lamentarsi che non urlare il tuo bisogno di salvezza e guardare quella vedovanza come la porta attraverso cui potrai sperimentare la giustizia di Dio.

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