Il racconto di una donna che 60 anni fa ha deciso di donarsi agli altri
Tutto è nato a Bindua, più di 60 anni fa.
Da allora una vita scandita da Eucarestia e lavoro, tra musulmani poveri, in villaggi ai margini del deserto, tra gente diversa per cultura, religione, razza e lingua.
Ma Franca Littarru, originaria di Desulo e cagliaritana d’adozione, non si sente una missionaria.
È soltanto una «Piccola sorella di Gesù», la fraternità fondata nel 1939 da Magdeleine Hutin, una donna che fin da giovane ha dedicato la vita a Dio mettendosi al servizio degli ultimi.
Un progetto esistenziale che si riempie di contenuto quando la giovane francese nel 1921 scopre la figura di Charles de Foucauld, il «fratello universale», il monaco senza monastero, il «padre del deserto», povero tra i poveri, ucciso da una banda di predoni davanti all’ostensorio, a Tamanrasset, tra i Tuaregs dell’Hoggar, il 1 dicembre 1916.
A 18 anni, dopo il diploma magistrale, vincitrice di concorso per l’insegnamento nelle scuole elementari, impegno associativo nelle file dell’Azione cattolica della parrocchia di N. S. di Bonaria, Franca Littarru sente forte il desiderio di consacrarsi a Dio.
«Ma come, dove, in quale famiglia religiosa?».
La risposta arriva quando, su invito di alcuni amici, comincia a frequentare la comunità di Bindua, dove alcuni uomini, laici e religiosi, hanno scelto di sopravvivere con i poveri.
Lasciate remunerate professioni, la ricerca universitaria, cattedre teologiche, con abiti usati e logori spingono carrelli carichi di minerale appena estratto nella miniera di San Giovanni, 200 metri sotto terra.
A Bindua vanno avanti a pane ed Eucarestia, preghiera comunitaria in una vecchia casa, priva di comfort e acqua calda, dove il Santissimo non resta mai solo.
«Questa vita mi ha attratta tantissimo. Prendo contatti con la fraternità femminile e a 23 anni – racconta Franca Littarru – faccio l’ingresso ufficiale in comunità. Dopo un mese, piccola sorella Magdeleine mi propone di raggiungere due sorelle in Libia. Inizia così la mia avventura religiosa ed esistenziale».
L’ha raccontata in Facoltà Teologica, al termine della liturgia, presieduta dall’arcivescovo Giuseppe Baturi, in memoria di San Charles de Foucauld.
La conciliare «scelta preferenziale per i poveri» diventa condivisione reale, stare all’ultimo posto fianco a fianco delle persone che papa Francesco chiama «pietre scartate».
Il carisma delle piccole sorelle è quello di Nazareth.
«Mettersi alla sequela di Cristo nella vita quotidiana: Gesù in famiglia, operaio, impegnato nel suo villaggio, soggetto alle regole della comunità», uomo-Dio che vive in tutta la sua pienezza, fuorché nel peccato, la condizione umana.
«Il messaggio che viene da Nazareth è confortante e di una grande valenza per i laici: il modello è la famiglia costituita da Gesù, la Madonna e San Giuseppe».
Anche Cristo è stato contemporaneamente Maria e Marta.
«Incontrare Dio – aggiunge suor Franca – significa incontrare gli altri, senza distinzione di razza, religione, cultura, lingua: sono diventati fratelli».
Per Charles de Foucauld fraternità è quasi sinonimo di santità.
Egli aveva un fortissimo desiderio di portare Gesù ai tuareg, ma si ferma quando si rende conto che non era ancora il tempo dell’evangelizzazione. Ha profondamente rispettato la loro fede.
«C’è un mistero : se Dio avesse voluto professeremmo tutti la stessa fede. Ma così non è. Perché?», si interroga sorella Franca.
«Ai nostri fratelli musulmani – tra loro ho vissuto fino a 5 anni fa, in Algeria oltre 30 anni, in Tunisia e nel Medio Oriente – abbiamo detto che la nostra vita di povertà era voluta da Dio. Vivere con loro senza tentazioni di proselitismo, unico apostolato quello dell’amicizia, che crea fiducia e relazioni».
Un’esperienza di vita che negli occhi e nella voce di Franca Littarru si riempie di malinconia.
«I superiori per ragioni anagrafiche ci hanno fatto rientrare in comunità più attrezzate. L’hanno fatto per tutelare la nostra persona. Io vivo a Chiusi (Siena), una delle 200 fraternità delle «Piccole sorelle» diffuse in 50 paesi del mondo. Fisicamente stiamo meglio, ma siamo tristi perché non possiamo condividere fino alla fine, con gli ultimi, il tempo della salute sempre più precaria, dei disagi, delle rinunce portate dalla povertà. Oggi siamo privilegiate e noi non volevamo esserlo».
Mario Girau
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