«La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare… I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi».
Così si legge al numero 13 dell’enciclica «Laudato sì», pubblicata da papa Francesco nel maggio del 2015.
A distanza di quattro anni quelle parole sono più che mai attuali ma anche cronaca dei giorni scorsi.
Milioni di ragazzi in tutto il mondo hanno chiesto a gran voce un cambio di rotta nell’uso delle risorse planetarie: agli adulti hanno detto di mettere da parte l’egoismo e creare così condizioni di maggior sicurezza per il loro futuro.
Sotto la spinta di una giovane svedese, la 16 enne Greta Thunberg, i giovani hanno ribadito la necessità di avviare un’inversione di tendenza, rispetto ai ritmi con i quali stiamo dilapidando le risorse naturali della «casa comune», come l’ha definita Francesco nella sua enciclica.
Il tema è delicato e scivoloso. Il rischio di infiltrazioni di lobby ambientaliste o dei signori dello sfruttamento delle risorse naturali è molto alto.
Già si vedono le prime mosse tra attacchi personali e scomposti alla giovane attivista e al suo movimento, contestazioni (attraverso i social e i giornali a loro vicini) da parte dei signori dello sfruttamento delle risorse, e la difesa strenua dei giovani portata avanti da qualche esponente dell’ambientalismo da salotto. Eppure quei ragazzi nulla hanno a che fare con queste fazioni.
Anzi la loro richiesta è esplicita: ci si muova in fretta prima che sia troppo tardi.
Le posizioni che si fronteggiano sono emerse anche nella recente conferenza Onu sul clima, di Nairobi, in Kenya: o procedere lungo il sentiero di sviluppo sin qui seguito, e così pagare costi sempre più elevati, anche se non immediati; oppure accettare la sfida di correggere il nostro modo di vivere, riconoscendo che la salute, la prosperità, la pace e persino la vita dipendono direttamente dalla capacità di rispettare il vincolo ambientale.
In mezzo ci sono i giovani timorosi per il loro futuro, che intravvedono non certamente roseo.
È indubbio che qualcosa sia cambiato: nello scorso autunno, dopo le settimane di pioggia incessante, da queste colonne il direttore regionale di Coldiretti, Luca Saba, confermava che anche l’agricoltura avrebbe dovuto trovare nuove strade capaci di superare le mutate condizioni climatiche, e prevenire gli immensi danni al settore. Se anche chi vive dalla terra chiede di voltare pagina, forse quei ragazzi non sono, come qualcuno li ha voluti dipingere, delle marionette nelle mani di fazioni politiche o di lobby ambientaliste.
In realtà quei ragazzi stanno mostrando coraggio, una virtù che noi adulti abbiamo messo da parte, perché impegnativa e capace di farci assumere delle responsabilità.
Quello di Greta e di quei giovani, come ha scritto domenica scorsa l’economista Vittorio Pelligra sulle pagine de «Il Sole 24 Ore», è «un appello alle coscienze, ma concreto e pressante, continuo, semplice e martellante. Ogni venerdì. Perché le cose, se cambieranno, cambieranno perché qualcuno avrà scelto di cambiare, non certo per nuove regole, incentivi economici o accordi internazionali. Quelli servono, ma solo dopo, per codificare e rafforzare cambiamenti di mentalità già in atto. Se cambiano i comportamenti, possono cambiare le regole; purtroppo non sempre è vero il contrario».
Roberto Comparetti
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