Il mistero del Natale è il mistero della povertà di Dio: il Creatore diventa creatura. Ma questa povertà oggi non ci fa molta impressione, poiché viviamo in un tempo in cui la creatura si ritiene quasi onnipotente, e, anche quando non lo teorizza formalmente, si comporta come se lo credesse davvero. Molti sono convinti che per l’uomo in futuro non ci saranno più limiti. Ma quanti pagano il prezzo di una simile prospettiva? Molte di tali conquiste sono assai probabili, con innegabili vantaggi per quelli che le vedranno. Anzi, per alcuni. Perché il problema è sempre lo stesso: il costo in vite umane sacrificate, perché lasciate morire nella miseria e nella disperazione per sostenere altri interessi. Inevitabile? Un problema di sempre? La discussione potrebbe essere infinita. Intanto però che noi discutiamo, Dio ha scelto dove collocarsi e dove manifestarsi a Natale. È diventato uno di quelli che sulla scena di questo mondo non contano, uno di quelli che non trovano mai posto, di quelli che devono sempre farsi da parte e spesso fuggire perché danno fastidio a qualcuno importante. Questa è la povertà che facciamo fatica a considerare e soprattutto fatichiamo a trarne le conseguenze. Rischiamo di essere sviati dai titoli stessi che la Scrittura e la Liturgia attribuiscono al bambino di Natale: Dio forte, Principe della pace, Re e Messia, Figlio di David. Sono i titoli che descrivono l’identità divina del figlio di Maria, esprimono, per così dire, il punto di partenza del cammino dell’Incarnazione. Nei Vangeli troviamo però descritto anche il punto di arrivo del Verbo Incarnato: nato e vissuto come uno di quella moltitudine di persone che non contano nulla, come uno dei milioni di esuli e di perseguitati. E Natale non è stato un incidente di percorso: quando vediamo il Maestro che lava i piedi ai discepoli, come un vero Servo, o quando lo vediamo inchiodato alla Croce, non possiamo più chiudere gli occhi per non capire lo stile di Dio. Gesù è diventato e rimane scomodo perché è sceso troppo in basso, è diventato l’ultimo degli ultimi, e, da quella posizione, ci ha parlato del Padre e del suo rapporto unico con il Padre, da Figlio primogenito, che ci apre la strada verso Dio se accettiamo di partire da quell’ultimo posto che lui ha scelto per sé. Anche i Magi venuti dall’Oriente con ricchi doni sono tornati a casa passando per un’altra strada: non quella che passava dal palazzo di Erode, la strada da cui erano arrivati. Il vescovo sant’Alfonso Maria de’ Liguori, nel suo celebre inno natalizio «Tu scendi dalle stelle» parla di questa povertà scelta dal Signore, una povertà «che più mi innamora». Noi, purtroppo, ci siamo abituati anche ai racconti evangelici del Natale: ci commuoviamo e ci innamoriamo più della poesia del Natale che della povertà di Betlemme. San Francesco ha provato a venirci in aiuto con l’icona del Presepe, ma a Natale tutto si addolcisce, a cominciare dal Presepe. Oggi però abbiamo davanti a noi nuove icone viventi della povertà scelta dal Signore: ne abbiamo a centinaia, davanti a casa nostra, sbarcati sulle nostre coste, scampati al naufragio, immagini scomode, talora difficili da guardare, ma oggi sono proprio queste le vere icone che ci aiutano a comprendere cosa è diventato Dio per noi.
Arrigo Miglio – Vescovo
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