«C’è il rischio che il Centro Giovanni Paolo II chiuda e che gli ospiti non abbiano un luogo dove poter andare».
È l’appello che la Caritas diocesana lancia dopo che, nel cuore della notte sabato scorso, i Vigili Urbani hanno recapito l’avviso nel quale si intimava agli ospiti del Centro di lasciare lo stabile entro il 28 settembre.
«Come Caritas – dice il direttore don Marco Lai – abbiamo sempre creduto nel realizzare le cose di concerto. Il Centro è nato da una collaborazione con l’Amministrazione comunale e, nell’arco di oltre un decennio, tutto ciò che è stato fatto ha avuto una modalità ben precisa: la co-progettazione tra Comune, Caritas, l’Aquilone, l’associazione Ozanam, Donne al traguardo, Banco farmaceutico e volontariato vincenziano».
La struttura ospita tutti i servizi di quella che è una vera e propria Cittadella della carità.
Decine e decine di persone sono passate di lì e hanno superato le proprie fragilità.
Storicamente il viale sant’Ignazio ha rappresentato da sempre il luogo nel quale la città di Cagliari ha vissuto l’aspetto della solidarietà: la presenza dei frati Cappuccini ha assicurato il sostegno ai più poveri, i religiosi stessi sono stati medicanti. A loro si devono istituzioni meritorie come la mensa dei poveri, la locanda dei poveri, l’albergo e l’ospizio di poveri. Oggi il Centro Giovanni Paolo II è ricavato nell’ex istituto Vittorio Emanuele II. «Cagliari – specifica don Marco – ha da sempre una cultura della solidarietà. Uno dei suoi tratti distintivi è stata la capacità di raccogliere la sfida del sostegno ai più deboli».
«C’è poi – aggiunge il direttore – uno stretto legame con l’università, nel polo giuridico-economico e politico, con il quale è nato un rapporto per approfondire gli studi in materia. Una facoltà di studi vista dalla parte dei poveri. In questi anni sono state numerose le interazioni tra l’Università e il Centro Giovanni Paolo II».
Il Centro è un riferimento per centinaia di persone che usufruiscono dei pasti, per chi vive il fenomeno della mobilità forzata, per i nuovi poveri, per i genitori separati, per chi non ha più un tetto e per chi, malato e solo, rischia l’emarginazione. «Sostenere queste persone – evidenzia don Marco – è stato ed è un vanto e un orgoglio per la città di Cagliari»
La struttura ospita anche i servizi della finanza etica, il prestito della speranza, il microcredito, i servizi sanitari con l’ambulatorio medico specialistico, nel quale monitorare lo stato di salute anche di chi vive per strada o di chi non può pagarsi le prestazioni degli specialisti. «Il Centro – afferma il direttore – è stato luogo nel quale realizzare stage universitari del polo umanistico nel Centro d’ascolto. Le risposte date ai tanti bisogni sono molteplici e il valore di questa realtà non è quantificabile, se si pensa alla dignità ritrovata da parte di chi non aveva più nessuno capace di credere in lui. Il Centro Giovanni Paolo II rappresenta una “Facoltà della povertà” vicina ad altre Facoltà. Con questo spirito è nato ed è cresciuto».
La struttura da tempo però manifestava criticità per cui sono stati programmati lavori di manutenzione: tetti, muri esterni, interni, e i servizi. «Una notizia – afferma il direttore – che ci ha visto e ci vede felici, Caritas, associazioni e volontari, perché prosegue l’esperienza della co-progettazione. Un intervento che permette di migliorare l’ospitalità di soggetti deboli».
Due le opzioni: trasferire i servizi in altro stabile, oppure realizzare i lavori in maniera modulare, ovvero a piccole porzioni di stabile in modo che i servizi non siano interrotti.
«Una soluzione – sostiene don Lai – che noi caldeggiamo, perché consentirebbe a persone con fragilità estreme di non perdere quello che considerano un luogo sicuro».
«Noi – afferma don Marco – abbiamo accompagnato l’iter di questo progetto in costante dialogo con l’amministrazione. Un fatto che riteniamo decisamente importante».
Cagliari ha la disponibilità di parecchi immobili, vuoti, inutilizzati e che potrebbero venire destinati ai servizi del Centro: dall’Ospedale civile alle scuole, dalle caserme ad altri edifici non più utilizzati. «La soluzione – don Marco – potrebbe essere un tavolo di incontro tra tutti i soggetti interessati: il Comune, la Regione e l’Università, perché insieme si possa trovare una soluzione immediata».
In questa vicenda però resta un episodio a dir poco increscioso: quanto accaduto la notte di sabato scorso con la consegna di una lettera nel cuore della notte a persone già provate nella loro vita.
«Si trattava di poveri – conclude il direttore – non di pregiudicati che rischiavano la fuga. Bisognerebbe avere maggiore attenzione anche in questa cose».
L’auspicio è che al più presto si possa riprendere la via del dialogo, anche se l’ultima lettera del Comune sembra andare in senso contrario: una comunicazione recapitata nei giorni scorsi a tutte le associazioni che operano nel Centro, conferma che entro e non oltre il 28 settembre i locali di viale sant’Ignazio devono essere sgomberati, per avviare le verifiche strumentali della struttura, operazione che non può essere effettuata con persone all’interno.
Da segnalare infine che in caso di chiusura chi quotidianamente lavora da anni nel Centro sarà licenziato: una ventina di persone potrebbe perdere il posto di lavoro.
Roberto Comparetti
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