Il quarto capitolo di «Amoris Laetitia» è una lunga riflessione sull’amore, condotta alla luce dello straordinario inno alla carità (1Cor. 13) applicato alla vita matrimoniale. Non si tratta di pie riflessioni adatte alla meditazione e alla devozione più che alla teologia.
Al contrario: se la teologia morale non torna a radicarsi nella carità inevitabilmente finirà con il cadere nel legalismo.
Per tanto tempo la teologia sul matrimonio è rimasta bloccata sul versante del diritto, trascurando di fatto il primato dell’amore e riducendo la morale a una questione di centimetri, di secondi, di fare o non fare, di permessi e di divieti, dimenticando che, al centro dell’annuncio evangelico, c’è invece la persona, la conversione del cuore, cioè dell’intenzione, della volontà, dell’intimo dell’uomo, che precede e di molto la varietà infinita dei comportamenti.
La riscoperta del ruolo dello Spirito Santo, in particolare a partire dal concilio Vaticano II, e del primato della carità, fanno da sfondo a tutta l’esortazione che papa Francesco ci ha consegnato riprendendo i frutti del duplice cammino sinodale. Chi prende in mano l’esortazione apostolica «Amoris Laetitia» e ne fa una lettura che esula da questa impostazione, fa fatica ad accoglierne la novità, che non consiste nella formulazione di un insieme di regole e principi che delineano un corretto percorso per andare a Dio, ma nel riscoprire che l’amore del Padre ci precede ed è Lui che sempre decide di andare incontro all’uomo.
Così non ha senso parlare dei principi morali del matrimonio se non a partire dall’amore e da quel potenziamento dell’amore che è l’incontro con il Dio-Carità: «Non potremo incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione se non stimoliamo la crescita, il consolidamento e l’approfondimento dell’amore coniugale e familiare» (AL 89).
Per poter fare questo però, poiché «la parola amore, che è una delle più utilizzate, molte volte appare sfigurata», è necessaria innanzitutto una ridefinizione dell’amore che sia fondata sulla Parola di Dio e per questo, giustamente, il Papa si rivolge alla pagina biblica forse più celebre sull’amore sottolineando che «questo si vive e si coltiva nella vita che condividono tutti i giorni gli sposi, tra di loro e con i loro figli» (AL 90).
Si tratta di un cammino che mette in primo piano la fiducia, che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni e grazie alla quale siamo in grado di riconoscere «la luce accesa da Dio che si nasconde dietro l’oscurità, o la brace che arde ancora sotto le ceneri» (AL 114).
È quella fiducia che rende possibile una relazione di libertà: l’amore infatti «ha fiducia, lascia in libertà, rinuncia a controllare tutto, a possedere, a dominare» (AL 115). Se nella relazione ci si sente continuamente sottoposti al giudizio e al sospetto, la reazione spontanea è quella di dissimulare e nascondersi. Se invece prevale la fiducia, allora si è più disposti a mostrarsi come si è, sicuri di essere accolti e amati.
Si vive già oggi così nelle famiglie? Sicuramente come desiderio, come orizzonte, non certo come ideale già raggiunto, altrimenti non ci sarebbe bisogno di un testo autorevole della Chiesa che rimettesse l’amore al centro della predicazione sulla famiglia.
Marco Orrù
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