Gabriella e Pierluigi Proietti, presenti al Giubileo delle Famiglie, fanno parte del Centro di formazione e pastorale familiare Betania di Roma. Entrambi reduci da precedenti unioni, prive di consistenza, si incontrano e, opportunamente sostenuti dalla Chiesa e da altre famiglie, riescono a coronare il loro sogno d’amore, divenendo nel tempo, a loro volta, supporto per altri nuclei in crisi di senso.
Nel vostro intervento si coglie distintamente la speranza di riprendere in mano la propria vita attraverso un percorso fatto di impegno e convinzione.
Diciamo che l’acquisizione di questa convinzione fa parte del percorso, perché da noi si presentano persone che consapevoli non lo sono per niente. La prima parte del percorso, perciò, consiste nel permettere alle persone di intravedere la speranza, di toccarla con mano, per cominciare a crederci. Andando avanti nei nostri incontri, questa convinzione diventa desiderio di lavorare su di sé senza guardare esclusivamente gli errori altrui.
Cosa percepite nell’incontrare queste coppie in difficoltà e che a voi si rivolgono per un sostegno?
La sofferenza: fondamentalmente stanno male. Credono che la soluzione possa consistere nel cambiamento dell’altro. Occorre accogliere questa sofferenza, perché non si può subito dire «stai sbagliando». Bisogna accogliere ed entrare in empatia, soffrire insieme alle persone. Pian piano entrare insieme con loro in questa sofferenza, esplorarla capendo quali sono i vissuti che la condizionano, perché c’è questa mancanza di speranza. La paura che non ci sia via di uscita è una delle maggiori fonti di sofferenza. L’esame dei nodi critici della propria vita permette di scorgere uno spiraglio, una novità possibile. La condivisione e i primi frutti ottenuti rinforzano la speranza e, di conseguenza, la sofferenza pian piano viene meno.
Sullo sfondo si delinea una Chiesa capace di accogliere tutti per camminare insieme.
Sì, il Papa utilizza una sorta di slogan: accogliere, ascoltare, discernere e integrare. Un programma che comporta grande fatica per chi accompagna le coppie, perché bisogna saper accogliere senza giudicare, ascoltare in modo profondo, senza aver subito la tentazione di parlare e poi la grande fatica del discernimento. Nessuna coppia è uguale all’altra e, quindi, bisogna cercare la verità che Dio ha per quella coppia, facendolo insieme a loro, invitando anch’essi a fare discernimento. E integrare, cosa significa? Vuol dire che queste coppie devono sentirsi dentro la famiglia che è la Chiesa, integrate all’interno di essa, non lontane, non separate.
Un ultimo quesito rispetto al ruolo delle parrocchie. Quanto è importante trovare comunità accoglienti con sacerdoti sensibili e coppie disponibili?
Questa è la grande sfida che ci sta davanti, perché siamo convinti che il cuore pulsante di quest’azione debba essere la parrocchia. C’è ancora da fare un grande lavoro di sensibilizzazione su questo tema, perché le comunità non sono sufficientemente vive, accoglienti e preparate. Nella diocesi di Roma, andiamo di parrocchia in parrocchia cercando di dare un metodo utilizzabile dalle persone che, formate in modo adeguato, possano, a loro volta, fornire questo servizio. È dalla parrocchia che parte tutto: noi siamo stati fortunati, perché siamo stati accolti e da lì, poi, è partito tutto. Se così non fosse stato chissà dove saremmo ora. Le parrocchie rappresentano ciò che il Papa definisce «periferie», in quanto diffuse su tutto il territorio. È importante la convinzione da parte dei parroci di puntare ancora sul sacramento del matrimonio, nella fase della preparazione e anche dopo il sacramento stesso. Quindi, soffrire, lavorare, sudare con e per la famiglia, insegnando nuove abitudini, nuovi modi di relazionarsi con il coniuge, fatto di piccoli e semplici gesti, facendo in modo che la stessa famiglia possa poi diventare soggetto attivo di pastorale.
Corrado Ballocco
© Copyright Il Portico