La vittoria della Nazionale frutto di grande impegno.
Tre anni fa nessuno di noi avrebbe mai pensato che, dalle ceneri della mancata qualificazione ai mondiali di calcio 2018, la Nazionale avrebbe vinto il Campionato europeo.
Il cammino del gruppo, realizzato nel tempo dal Commissario tecnico, Roberto Mancini, è stato segnato da un crescendo in forza, sacrificio, sofferenza, paura, gioia, divisioni e unioni, fino al sogno diventato realtà l’11 luglio, lo stesso giorno del mondiale vinto nel 1982, quello dell’urlo di Tardelli e dell’esultanza in tribuna del Presidente della Repubblica Pertini.
Domenica scorsa nel tempio del calcio, non solo inglese ma mondiale, gli azzurri hanno dato una lezione che sembra non sia stata apprezzata dai rivali britannici.
Un clima tutt’altro che sereno ha accompagnato i giorni precedenti la partita, ma non solo.
Poco prima della gara, alcuni facinorosi hanno pensato bene di sfondare il cordone di sicurezza, soprattutto sanitario, realizzato intorno a Wemlbley, mentre all’interno dello stadio è stato un florilegio di gesti antisportivi: i fischi all’inno italiano, i continui cori di disprezzo verso gli azzurri e l’arroganza dei giocatori inglesi, manifestatasi nel gesto di sfilarsi la medaglia dopo averla ricevuta.
Pep Guardiola, allenatore del Manchester City, (una delle migliori squadre inglesi) lo scorso 29 maggio, dopo la sconfitta subita dal Chelsea nella finale di Champions League, aveva baciato la medaglia.
Altra pasta, altro spessore.
A chiudere il cerchio le violenze sugli italiani fuori dallo stadio.
Nessun canale televisivo o giornale britannico ha stigmatizzato uno di questi comportamenti: unica presa di posizione quella sugli indegni attacchi razzisti verso i giocatori, rei di aver sbagliato i rigori.
Anche in questo caso non è stato riconosciuto il talento del portiere italiano, Gigi Donnaruma, eletto poi miglior giocatore del Campionato europeo.
Gli azzurri, dal canto loro, nei giorni precedenti la finale, hanno continuato la preparazione, con quello spirito di gruppo capace di trasformare la difficoltà in risorsa, tralasciando le sirene inglesi, che già davano per vinto il trofeo.
Tutto ciò cosa porta a pensare?
Che da ogni sconfitta è possibile ripartire, che da ogni caduta ci si può risollevare e ci si può mettere nuovamente in marcia, proprio come ha fatto la Nazionale, fuori dal Mondiale 2018 ma sul tetto d’Europa dopo soli tre anni.
Il punto sta nel non fermarsi alla debolezza ma andare al di là, superare la sconfitta e ripartire, come spesso accade ai noi italiani, popolo capace di dare il meglio di sé nei momenti più difficili.
Lo sanno bene altri nostri atleti che, tra sabato e domenica scorsa, hanno raggiunto traguardi insperati: da Matteo Berrettini, ha fatto penare sull’erba di Wimbledon quella macchina da guerra che è Novak Djokovich, alla velocista quartese Dalia Kaddari, fresca campionessa europea Under 23 a Tallinn, in Estonia, ricevuta al Quirinale insieme alla Nazionale azzurra.
Per tutti loro, ogni giorno, è un cadere e rialzarsi, un ripartire dopo la sconfitta per migliorare la propria condizione, mettendo in conto sacrifici, paure, sofferenze e gioie.
Elementi essenziali, non solo nello sport ma nella vita di ciascuno di noi, inglesi compresi.
Roberto Comparetti
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