Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco IV Domenica del Tempo di Pasqua (Anno C)

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.  Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

(Gv 10, 27-30)

Commento a cura di Fabrizio Demelas

Le parole che la Liturgia ci propone oggi sono la conclusione di un lungo discorso di Gesù. Un discorso in cui egli si paragona al pastore e, insieme, all’ovile delle pecore.

La preoccupazione di Gesù è quella di rivelare in modo concreto e comprensibile quale sia il rapporto che lo lega alle persone che lo accolgono.

Allo stesso modo del pastore con le pecore, metafora di tutti i credenti, Gesù costruisce con chi crede in lui una relazione tutta particolare.

La parte del discorso che precede il brano di oggi mette in risalto una vera e propria familiarità del pastore con le pecore.

Una familiarità che, come sappiamo bene, porta gli ovini a distinguere il pastore da tutti gli estranei.

Questa familiarità si concretizza in gesti al limite del sacrificio, dato che un pastore capace e dedito al suo lavoro non esita a mettere a repentaglio la vita per le sue pecore. E potrebbe addirittura arrivare a dare la sua stessa vita per loro, come Gesù è pronto a fare.

La metafora scelta rivela che anche i cristiani riconoscono in Gesù il loro pastore, lo seguono e sono da lui riconosciuti. E come il pastore conduce le pecore lungo i sentieri dei pascoli, sulle montagne e nelle pianure, dove possono trovare l’alimento necessario per la vita, allo stesso modo Gesù si preoccupa di dare, a chi lo ascolta e lo segue, qualcosa che ha a che fare con la vita: Gesù dà la vita ai credenti, la «vita eterna».

A questo punto, però, è necessario fermarsi per capire meglio in che cosa consiste la «vita eterna» secondo il vangelo di Giovanni; non possiamo correre il rischio, infatti, di confonderla con l’esistenza ultraterrena che, con la metafora delle pecore, non c’entrerebbe per niente.

Per capire in che cosa consiste la «vita eterna» dobbiamo andare avanti nel vangelo di Giovanni e leggere il versetto 3 del capitolo 17: «Questa è la vita eterna, che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo».

Questa è la «vita eterna», secondo il Vangelo di Giovanni: non è l’esistenza beata oltre la morte.

La «vita eterna» è “conoscere”, nel senso biblico di vivere un rapporto vero e intenso, conoscere Dio, il Padre, e Gesù, suo Figlio. Questo è il dono che chi crede riceve da Gesù, un dono che vale una vita, un dono  necessario quanto il cibo per le pecore.

E Gesù lo offre con la garanzia che niente e nessuno potrà mai sottrarre i suoi da quel dono, «nessuno le strapperà dalla mia mano».

Che «la vita eterna» consista nella relazione con il Padre attraverso il Figlio è confermato dalle ultime parole di Gesù: come lui, anche il Padre è protagonista della relazione con coloro che credono.

E la relazione con il Padre è tanto forte che nessuno può strappare i credenti «dalla mano del Padre». Di nuovo la «mano», qui «mano del Padre»: per la seconda volta Gesù usa la stessa immagine per dire quanto intensa e personale può e deve essere la relazione con il Padre.

Dio stesso si coinvolge in una intimità profonda con ognuno dei credenti, con ognuno di noi. Di ognuno Dio è il Padre, un Padre che chiama e attende i Suoi figli.

E, infatti, il vangelo di Giovanni ci ha insegnato, fin dal Prologo, che chi accoglie Gesù, la Parola scesa tra gli uomini, acquista il potere di diventare figlio di Dio.

Tutto questo accade grazie a una realtà tutta particolare, una realtà di unità che nessuno immaginava.

Sono le ultime parole di Gesù nel Vangelo di oggi: Gesù e il Padre sono una cosa sola. Questo mistero di unità è la stessa realtà di Dio pronta ad accogliere i figli, ogni figlio.

Ancora nel capitolo 17 del vangelo di Giovanni, Gesù pregherà il Padre «perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi».

La «vita eterna», la vita davvero umana, nella sua pienezza di umanità così come Dio l’ha pensata per noi, è vita di figli in unità tra loro e con il Padre; una unità che è possibile grazie all’unità del Padre e del Figlio, in una relazione di intimità di figli nel Figlio, figli grazie al Figlio.

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